Vince Alexander Kristoff ma niente abbracci. Il coronavirus  toglie la voglia di abbracciarsi, di stringersi le mani, di baciarsi e forse anche un po’ di sorridere. Il Tour da Nizza parte sotto una pioggia che rende le strade viscide come saponette in una carambola di scivolate e di cadute che neanche su una pista di pattinaggio. Proverà ad arrivare a Parigi restando in una “bolla” che dovrebbe proteggerlo dai contagi ma che lo rende sterile. Il ciclismo è una festa di popolo e come si fa a festeggiare senza il popolo? Niente contatti. Niente selfie, niente autografi, niente tifo sulle strade ( ma un po’ sì) niente applausi, niente spinte in salita. E’ un ciclismo impaurito dai contagi che non si arrestano, quasi anestetizzato. Non in corsa, non in tv dove forse poco cambia. E’ un ciclismo senz’anima che mette in naftalina i suoi protagonisti, li “tampona”, li tiene lontani da tutto e da tutti. Serve per andare avanti. Per ripartire, come si dice adesso, per dare un senso ad una stagione che fatica a trovarlo. Serve per sopravvivere. Per onorare sponsor e contratti. Per non chiudere forse. E allora conviene applaudire e incrociare le dita. Sperare che la “bolla” resista, non venga violata dai contagi perchè uno ci sta ma due sono già troppi e  si va a casa. Sperare che il presidente Macron non decida di rimettere la Francia in quarantena, che Parigi arrivi, che non ci si debba fermare prima, che non tocchi arrendersi. Certo,  è un altro ciclismo, un’altra avventura, tutta un’altra storia. C’era una volta il Tour che si correva a luglio, quest’anno non c’è più. Adieu!