Quando si festeggia la giornata mondiale di qualcosa significa quasi sempre che c’è poco da festeggiare e molto ancora da fare. Altrimenti non ci sarebbe bisogno di celebrare, di attirare l’attenzione su qualcosa che fa parte della quotidianità delle nostre giornate. E vale anche per la bici purtroppo. Che festa è? Ma soprattutto a cosa serve la Giornata Mondiale della Bicicletta? Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 12 aprile 2018, riconosce l’unicità, la longevità e la versatilità di un mezzo che è  in uso da oltre due secoli ma che, soprattutto in questo momento, appare il mezzo di trasporto del futuro se proposto non con “talebana” prepotenza ma con il buonsenso di chi deve ben comprendere che è necessario integrarlo con le altre forme di mobilità. Perfetto. Federazione ciclistica e associazioni  sono da tempo impegnate a sostenere tutte quelle proposte a livello legislativo che mirano ad aumentare la sicurezza sulle strade, dalla proposta di legge per 1,5 metri, alla riscrittura del nuovo codice ma per il momento la situazione per chi pedala resta “a rischio”.  E basta andare a pedalare una domenica qualunque sulle sponde di un lago, su un passo di montagna, su qualche litorale per capire che tra auto ma, soprattutto tra motociclisti  che ti sfiorano a velocità assurde,  non è il tempo di brindare. Anzi è molto meglio farsi il segno della croce perchè è ancora il tempo delle preghiere. Quindi più che una giornata mondiale della bicicletta servirebbero alcune normalissime giornate di coraggio. Coraggio, ad esempio, di chiudere al traffico le strade di costa, sui laghi o sui passi qualche mattinata al mese, come un paio di volte l’anno fanno sullo Stelvio. Coraggio di creare la domenica un corridoio protetto con transenne mobili per permettere  di correre, camminare o pedalare per uscire ed entrare dalla città  senza rischiar la pelle. Lo fanno da sempre in Colombia a Bogotà, potremmo provarci anche noi. Coraggio di impedire, intensificando i controlli, che molte strade panoramiche la domenica diventino teatro dei gran premi motociclistici di invasati bardati come i piloti dei Gp. Coraggio  difendere le ciclabili cittadine dalla sosta menefreghista e selvaggia. Coraggio di chiedere conto a chi amministra Comuni, Enti o parchi dello stato di manutenzione di alcune ciclabili che sono abbandonate a se stesse. Coraggio di promuovere sul serio il ciclismo tra i bambini  mettendo a disposizione delle società che li allenano facendo i salti mortali qualche pista in più, senza parlare dei velodromi. Ma quello è un sogno… Coraggio di ricordarsi al di là degli infiniti (ed inutili)  dibattiti su ruoli, responsabilità e regole da rispettare senza distinzioni,  che alla fine i ciclisti sono sempre quelli che sulle strade rischiano di più ed hanno la peggio. Coraggio di non dimenticarsi mai che la bici e il ciclismo sono pratica quotidiana di tantissime persone (sempre di più) e che sarebbe bello far festa tutti i giorni, non un volta l’anno.