“Mi ero iscritto così, tanto per fare qualcosa, un giro, un viaggio, un po’ di svago, forse perché ogni tanto ne ho bisogno, anche se non potrei, a dire la verità non potrei mai, come quasi tutti, perché se stai a vedere gli impegni, i problemi e tutto il resto, non faresti altro nella vita, quindi, se resti, sei frustrato per non esserci andato, se parti ti senti in colpa… E’ forse uno dei crucci della mia vita. Alla fine vado, nemmeno guardo dove passa il percorso e come preparare la bici, intendo rapporti gomme ed altro, comunque compro il volo il giorno prima ed improvviso un viaggio su Tarifa…”. Comincia più o meno così  L’Iberica Traversa di Nico Valsesia,  una delle avventure ciclistiche in fuoristrada più dure in circolazione: 1700 chilometri in completa autonomia con oltre 30mila metri di dislivello attraversando la Spagna da Tarifa a San Sebastian , con il deserto del Gorafe, con fango, sterrati, guadi, canyon e sentieri che spesso finiscono nel nulla. E’ l’ultima sua  impresa in ordine di tempo. Cinquant’anni, tre figli, originario di Sauze D’Oulx ma ormai da anni “adottato” da Borgomanero,  Valsesia è  fondista, ciclista, ultratrailer, campione di endurance ma soprattutto l’uomo per cui a “fatica non esiste” e che, non a caso, nel suo curriculum vanta ben 5 Race Across America,  la gara in bici più massacrante del pianeta con 4.800 km per 51800 m di dislivello da una costa all’altra degli Stati Uniti. Basterebbe già questo per raccontarlo ma, ovviamente, c’è anche tanto altro: c’è il record mondiale di dislivello positivo superato in un solo giorno in bici bici e a piedi dalla spiaggia di Genova Voltri alla vetta del Monte Bianco; c’è l Ascension to Ararat” il viaggio in bicicletta di 500 chilometri fatto insieme al figlio Felipe,  dal Mar Nero a Doğubeyazıt, in Turchia, dopo un viaggio di oltre 4.000 chilometri attraverso l’Europa centrale;  ci sono il  record di salita all’Ojos del Salado (6893 m), il più alto vulcano al mondo tra Cile e Argentina, in 3 ore e 35 minuti; ci sono i trail,  c’è il  Tor des Géants,  il Salar de Uyuni in Bolivia, il più alto deserto salato al mondo e ancora la salita dell’Aconcagua partendo dalla spiaggia di Las Venturas (Viña del Mar, Cile) in bici per 200 chilometri quindi a piedi e di corsa fino in cima alla montagna. E  ci sono l’Elbrus in 31 ore e 55 minuti per andare da Sulak (Mar Caspio) alla cima della montagna; il Kilimangiaro  dopo 27 ore non stop partendo da  Tanga, sull’oceano indiano.  Valsesia ha il fuoco dentro. E così ogni tanto parte. L’Iberica Traversa ha scoperto cammin facendo che follia fosse.  Un’avventura più che un’impresa sportiva, una sfida vinta davanti ad un’altra decina di “folli” che si sono presentati al via nonostante un meteo tremendo. “No, non si vince nulla- spiega subito- Arrivi primo ma lo fai per te stesso, per una pacca sulla spalla o una stretta di mano alla fine. Ed è il bello di queste cose. Che poi in realtà il premio c’è ed è enorme. Si vince tutto ciò che ti riporti a casa: le amicizie che hai condiviso, i posti incredibili che hai visto, le emozioni e anche le paure, la gente che hai conosciuto, con cui hai parlato, che ti ha dato qualcosa da bere o da mangiare vedendoti arrivare sfinito…”. Sette giorni e sette notti, dormendo in tutto una decina di ore: ” Perchè io sono uno che dorme poco- spiega-  mi basta anche un sonno da otto minuti dove capita e recupero…”. Beato lui. Ma, sonno a parte, l’Iberica è una sfida estrema, ovviamente non per tutti. “Sinceramente credo che se una sfida del genere l’avessimo organizzata in Italia dopo la prima tappa sarebbero arrivati i carabinieri e fermare tutto- scherza- L’assistenza non era prevista.  Avevamo solo un tracker che ci teneva più o meno in contatto con gli organizzatori e un orologio gps per seguire la mappa, Che ovviamente spesso si perdeva, finiva nel nulla o davanti ad una parete di roccia praticamente invalicabile”. Non è stata una passeggiata e il problema più grande è stato il fango. ” Sì, una poltiglia argillosa che si attaccava alle ruote e quando seccava diventava come il cemento- racconta- Mai vista una cosa simile. Ed è stato un problema perchè alla fine mi ha tagliato anche le gomme”. Riparare, pedalare, mangiare, dormire e ripartire. Cinque verbi coniugati all’infinito fino alla fine. Fino a San Sabastian attraversando montagne, vallate e un deserto dove per chilometri e chilometri non ha incontrato anima viva. “E’ una zona immensa e  spesso vergine- racconta- sul tracciato c’è qualche villaggio e paesini di agricoltori completamente svuotati dal Covid che anche qui ha fatto tante vittime, dove i giovani sono andati via e dove è rimasto solo qualche anziano che quando ci ha visto arrivare non capiva bene cosa stessimo facendo ma ci ha accolto e rifocillato”.  Atleti, viaggiatori estremi, ultrabiker non si sa bene come chiamare chi partecipa e questi raid “Che vanno oltre lo sport- racconta Valsesia- Sono qualcosa in più dove è ovvio che bisogna essere allenati ma dove servono capacità di adattamento, di gestirsi e la curiosità che permette di scoprire luoghi, di conoscere gente che non incontreresti mai da nessun’altra parte, dove anche tra chi partecipa più che la competizione vince la solidarioetà che quasi sempre diventa amicizia”. La Iberica Traversa va in archivio. Diventa un’altra “tacca” tra le tante imprese di un atleta che ha forse trovato la ricetta magica per fermare il tempo e per continuare a rincorrere i suoi sogni. Altro verrà a cominciare da questa estate, dal 9 luglio,  quando Valsesia vestirà i panni di organizzatore e darà il via alla prima edizione della Barolo-Courmayeur, 560 chilometri che chi ha il coraggio può fare anche di corsa,   dalla Cantina dei Marchesi di Barolo fino ai piedi del monte Bianco attraverso Langhe, Monferrato e Val D’Aosta: “In realtà il viaggio era più lungo- racconta- Sarebbe dovuto partire da Tindari ma tremila chilometri ci sono sembrati davvero troppi quindi abbiamo deciso per una prima edizione un po’ più umana…”. Ma la filosofia non cambia, resta quella dei “Bikepacker” come dicono adesso quelli che sanno l’inglese. Che poi basta tradurre per capire che si sta parlando di gente che pedala, che viaggia in autonomia, che non ha paura di dormire dove capita, di scoprire strade che spesso non vanno da nessuna parte e  di avventurarsi laddove serve un  po’ di coraggio e un pizzico di incoscienza. Una nuova frontiera per gente “tosta” ma magari neanche tanto:  “Sono io il primo a non prendermi troppo sul serio, anche quando ripeto che la fatica non esiste- scrive Valsesia sul suo sito- Il tono con cui lo dico non è quello perentorio di un corso di addestramento per aspiranti Marine. È un mantra da recitare, come una preghiera interiore, cercando un gioioso punto di equilibrio tra quello che vuoi e quello che puoi fare.”