Tutto ha un prezzo, basta mettersi d’accordo. Ed è bastato vedere l’inizio dei mondiali del Quatar per rendersi conto che i diritti, quelli di cui tutti si riempiono la bocca e che, come ha raccontato scherzando (ma neanche tanto) Fiorello i  qatarioti hanno scritti sugli zerbini d’ingresso delle loro case,  sono in vendita eccome.  Tanto per cominciare, per paura di squalifiche, Inghilterra, Danimarca, Galles, Belgio, Olanda hanno ubbidito alla FIFA e non sono scese in campo con la fascia arcobaleno al braccio dei loro capitani simbolo delle discriminazioni sessuali.  Se i diritti sono in vendita il coraggio non si compra e quindi buona pace a tutte le rivendicazioni: facile ingincchiarsi dove non si rischia nulla, facile fare la voce grossa dove si può. E allora? E allora gli unici che hanno avuto il coraggio di  rischiare per ora restano i ragazzi dell’Iran,  rimasti muti mentre andavano le note del loro inno nazionale. Cosa accadrà loro quando torneranno in patria ( se torneranno) non è dato di sapere. E tutti gli altri ? Tutti gli altri scendono in campo, giocano, vincono, perdono senza farsi troppe domande. La stessa cosa che fanno i tifosi festanti sugli spalti (anche quelli pagati per far numero), che accendono le tv facendo salire lo share, che danno una logica a investimenti, sponsorizzazioni, affari e “business”. Perchè la regola del business vale sempre e qui più che mai. Che la 22ma edizione dei mondiali di calcio si sarebbe giocata in Quatar  si sapeva da qualche annetto ma in molti pare se ne siano accorti solo ora. Così fa un po’ sorridere vedere ora tanta indignazione. “Questi mondiali non si sarebbero dovuti giocare- ha detto ieri sera aprendo la sua trasmissione la direttrice di Raisport Alessandra De Stefano– sono stati offerti al Quatar che si è preso lo sport più bello del mondo corrompendo, imbrogliando e calpestando i diritti umani…”. Perfetto. Peccato però che la Rai, che si è assicurata la trasmissione dei diritti televisivi per una cifra intorno ai 160 milioni e che in Quatar ci ha mandato un centinaio di inviati trasferendo laggiù parte delle produzioni televisive per giustificare l’esodo, di questo se ne sia accorta solo adesso. Ma dov’erano prima? davvero non sapevano nulla?  Se c’è una logica nell’indignazione, se ancora ha un senso indignarsi, allora sarebbe stato etico fermarsi, non salire su una carrozzone che si giudica indegno. Insomma non diventarne complici. Altrimenti indignarsi è da ipocriti.