[photopress:bec_1_2.JPG,full,alignleft]<Lei sa che in Italia i detenuti minori sono poco più di 500? Pochi vero? Non appena si può si applicano misure alternative alla detenzione in comunità religiose o protette. Così gli altri 15mila sono fuori…>. Non aggiunge altro Sandro Mariloti, direttore del carcere minorile Beccaria di Milano. Ma non serve aggiungere altro. Gli si legge negli occhi che quel numero gli dà soddisfazione. Recuperare chi sta dietro le sbarre è una missione, soprattutto se in cella c’è un ragazzino che potrebbe essere tuo figlio. <Quindi i settanta detenuti qui dentro sono  casi disperati- continua il direttore del Beccaria- Giovani emarginati con con storie assurde>. Punto. Anche se per 5 anni ho fatto il cronista di <nera> non ero mai entrato al Beccaria. E’ diverso da San Vittore, dove tra agenti di custodia, avvocati e impiegati c’è più viavai. Qui dall’atrio vetrato si vedono le sbarre delle celle al di là del cortile ma sembra un po’ tutto sospeso, congelato.  Nell’atrio il posto di guardia, la solita bacheca delle comunicazioni sindacali, una vetrinetta, gli ascensori e le scale che portano ai piani superiori. Parlo di ragazzini detenuti perchè da oggi per otto di loro comincia la preparazione alla maratona di Milano. Un’idea affascinante che nasce dalla collaborazione tra il carcere e la fondazione Laureus. Non a caso. Silvana de Giovanni è presidente di questa onlus che si occupa di sport e disagio giovanile ma è soprattutto è una maratoneta, basta guardare le scarpe che indossa. Corre, si allena, fatica e quindi le si è accesa la lampadina. Due squadre, due staffette con frazioni di 10 chilometri che  porteranno al traguardo della decima Milanomarathon otto detenuti che per un giorno avranno un permesso premio firmato dal giudice di sorveglianza. Saranno accompagnati da <angeli custodi> come Andrea Zorzi, l’ex pallavolista del sogno azzurro, e come Antonio Rossi,  il mito della nostra canoa olimpica. Certo, dovranno allenarsi. Scoprire che correre è fatica ma imparare che soffrendo e sudando si può raggiungere e superare quel limite che loro hanno infranto e che li ha portati qui dentro.  <Fanno i duri, si danno un sacco di arie, sembrano chissà che a parole- racconta don Gino Rigoldi- ma in realtà hanno una scarsissima stima di sè. Fare sport, far parte di una squadra dove è importante il rispetto dei ruoli e delle regole credo li aiuterà moltissimo….>.  Ovviamente in questa avventura non saranno soli. A guidarli e a prepararli ci sarà il dottor Gabriele Rosa, <mister> maratona, l’allenatore dei keniani che hanno vinto tutto dalle olimpiadi, a New York a Berlino e si potrebbe continuare. Con il suo staff avrà 82 giorni per preparare i ragzzi a correre i quattro diecimila in cui si divederanno la sfida e ovviamente non sarà un problema. <Ovvio che l’obbiettivo non sarà vincere- spiega Rosa- Non siamo venuti qui per questo. Correre è un piacere doloroso che però trasmette una grandissima energia. E’ questa la sfida: far capire a questi ragazzi che sono in grado di fare cose di valore, diverse da quelle che li hanno portati qua dentro. Questa è una di quelle volte in cui la corsa riesce a creare la favola…>. E qui mi fermo.