Il ventello non è un’unità di misura. Ci si avvicina ma è tutta un’altra cosa. E’ una filosofia di corsa, un bel po’ di chilometri, diciamo una ventina, che si corrono a spanne. Un paio d’ore  più o meno forte, più o meno a 5, 5.30 senza orologi, gps, cardio e “bim-bum-bam”. Ad annunciare il ventello è solitamente un giro di telefonate. “Domani ci sono gare in giro? E se facessimo un ventello…”. Uno chiama uno, l’altro chiama l’altro e l’altro ancora. Non c’e’ sanzione per chi la mattina dopo non si presenta: vale la regola del chi c’e’…c’è. Così si parte presto e preferibilmente sotto la pioggia battente come stamattina. Quanto si fa, dove si va, a chi ritmo si corre nessuno lo sa. Si decide strada facendo guardandosi in faccia, assecondando le gambe: chi va piu’ forte rallenta e aspetta, chi soffre stringe i denti e tiene il passo. Dieci, quindici, venti chilometri, ventuno o diciotto. Nel “ventello” ci sta dentro tutto. La deviazione che non pensavi, il fango che non credevi, lo sguardo un po’ smarrito di chi nei boschi del Parco Sud ha perso l’orizzonte. La fine e’ una fetta di panettone, un pezzo di pan treccia e un caffe’ caldo sulla stufa a legna