Sono pieni gli archivi dei giornali di storie che raccontano di genitori frustrati che obbligano i figli a fare lo sport che loro non sono riusciti a fare. Gli dettano i tempi degli allenamenti, gli fanno da mister, s’arrabbaino se non vincono e via così. E il risultato è uno solo. Non appena i pargoli raggiungono l’età della ragione salutano, ringraziano (mica tanto) e addio sogni di gloria. Dei papà, ovviamente. Storie frequenti. Talmente frequenti da essersi guadagnate un ottimo spazio nell’immaginario comune. E si fa presto a fare l’equazione: se sei un papà appassionato di sport e condividi questa passione con i tuoi tre figli quasi certamente la loro scelta non è stata una “libera scelta”. E questo stamattina ho letto negli occhi di due signori di mezza età , probabilmente marito e moglie,  che stavano scendendo a piedi una bella discesa che va da Aviatico ad Amora nel cuore della Val Seriana nella Bergamasca. Loro scendevano tranquilli chiacchierando, io con i miei figli salivo di corsa senza più un filo di fiato. Io senza più un filo di fiato perchè i due “cuccioli”, che si allenano e corrono per la DDs di Settimo Milanese, erano molto più a loro agio di me su quelle rampe. Ma tant’è. Gli anni passano e anche il testimone passa di mano. Ed è’ stato un attimo. Il mio sguardo ha incrociato quello dei due signori che mi sfilavano accanto e ciò che stavano pensando mi è arrivato dritto sul muso: “Ma guarda questo  qui che obbliga sti due poveri bambini a correre a mezzogiorno su una salita del genere…”. Magari fosse così…