C’è mezza Italia preoccupata per la salute dei nostri azzurri che si stanno giocando il mondiale in Brasile. Per Pirlo e compagni il più grosso problema non sarebbe la Costa Rica con cui dovranno fare i conti venerdì, ma il caldo e l’umidità. Oltre trenta gradi, un tasso di umidità che arriva al settanta per cento, la disidratazione, le gambe che d’improvviso fanno «Giacomo…Giacomo…» e via così. E allora ci si indigna perché la Fifa non concede un time-out per permettere a tutti di bere e rinfrescarsi o di dividere la partita in quattro tempi come si fa nel basket. E allora si discute su come allenarsi, su  come prepararsi ad affrontare “interminabili” novanta minuti nella «giungla» brasiliana senza rischiare di collassare. Ma le paure che l’Italia intera ha sulla tenuta fisica dei ragazzi di Prandelli paiono un po’ eccessive. Contro l’Inghilterra che ha finito con i crampi mentre i nostri andavano ancora a tutta, Candreva è uscito dal campo a un quarto d’ora dalla fine dopo aver corso per circa otto chilometri. Otto chilometri, anche a trentadue gradi e anche con un’umidità del 70 per cento non sono un’impresa da Ironman. Sono il minimo sindacale che un atleta professionista che prepara un mondiale deve essere in grado di garantire. E senza grandi patemi d’animo. Allora che dire di Aru e Quintana  che meno di un mese fa scendevano dal Gavia e dallo  Stelvio mentre nevicava? Sette ore in bici con temperature sottozero, con i muscoli che tremano, le mani ghiacciate e le parole che non ti escono più dalla bocca perché ti si sono gelati anche i pensieri non sono un’impresa che dovrebbe far preoccupare?  E non dovrebbe far preoccupare la faccia sfinita di Daniel Fontana che arriva vittorioso all’Ironman di Los Cabos in Messico e dopo sei ore abbondanti di fatica vera  riesce a malapena a sorridere? Pare di no. Per chi pedala, suda e fatica senza correre dietro a un pallone ci si preoccupa un filo meno. Dieci anni fa, tanto per fare un esempio, Stefano Baldini ad Atene vinceva la medaglia d’oro della maratona alle Olimpiadi di Atene. L’impresa di tutte le imprese. Alla partenza sull’asfalto c’erano più o meno 40 gradi e, anche se non come in Amazzonia, un bel po’ di umidità. Baldini arrivò nello stadio Panatinaikò in due ore e una manciata di minuti. Quarantadue chilometri e 195 metri per entrare nella storia senza che nessuno si preoccupasse se faceva troppo caldo, troppo umido, troppo freddo o troppo di qualcos’altro. Va così. È la palla che fa la differenza. È la cultura del calcio che ha una scala di valori della fatica e della sofferenza un po’ diversi rispetto agli altri sport. Così se fa caldo e c’è umido soffriamo e boccheggiamo tutti. Ma gli azzurri un po’ di più…