Lo scorso anno sono stati controllati  1427 atleti e 58 erano dopati. Quattro su cento. Sono i dati del Report annuale pubblicato sul sito del Ministero della Salute. Quattro su cento che sono pochi o tanti,  dipende.  Nel mirino 297 manifestazioni sportive, in genere garette minori ed è un dato potrebbe anche sembrare ridicolo. Ma poco importa.  Ciò che conta è che nella rete dei controlli della Commissione per la Vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (Cvd),  istituita al ministero della Salute,  sono finiti 50 maschi e 8 femmine. E soprattutto che  e che l’età media degli atleti risultati positivi è di 43,7 anni per gli uomini, 39,1 per le donne. Gente matura,  non ragazzini. Gente che dovrebbe dare l’esempio e che magari ha anche figli. E il punto sui cui si dovrebbe riflettere mi sembra proprio questo. Al di là del nulla che deve passare nella testa di un quarantenne che decide di doparsi per correre una gran fondo, una maratona o un triathlon resta la domanda più semplice. Perchè? Per battere il compagno di squadra? Per migliorare di qualche minuto il proprio tempo da tapascione? Perchè così ci sente più veri o più tosti?  E si potrebbe continuare. Ma il perchè un padre (ma anche una madre) di famiglia decida di mandar giù  diuretici ( il 26,7% ), mascheranti ( 22,8% ), anabolizzanti, ormoni e stimolanti (15,8% ) per piazzarsi meglio nella sgambata dietro casa resta un mistero o una follia. La risposta però forse è semplice. C’è, c’è sempre stata e probabilmente ci sarà una cultura del doping. C’è negli atleti (non tutti per fortuna) c’è in chi cerca la scorciatoia per gloria e guadagni, c’è nei falliti, c’è in chi non ha speranze e passione. E c’è in chi dovrebbe dare l’esempio. A cominciare dai genitori. Perchè tra questi 43enni dopati qualche genitore ci sarà. O no? E comincia tutto da lì…