Giorgio Calcaterra entra a gamba tesa sul doping. Come fa da sempre: «Quelli nella maratona non sono veri risultati, ci sono troppe falle nell’antidoping e certe cose che ho visto, e certi miglioramenti repentini, non sono frutto dell’allenamento. Ci sono state troppe cose improbabili». Intervenendo nel corso del convegno “Born to Run” a Roma, organizzato da Alfredo Stecchi e patrocinato dal Csi, il pluricampione del mondo della 100 km. L’ultramaratoneta azzurro si lascia andare a uno sfogo contro il doping che in troppi casi, secondo lui, ha falsato l’andamento delle gare. Lo spunto per levarsi qualche sassolino dalle scarpe arriva  da una domanda su quanto sta venendo fuori a proposito di molto atleti e delle inchieste recenti. «Perchè non mi sono dedicato a tempo pieno ai 42,195 km  per tentare di partecipare a un’Olimpiade? – spiega  Calcaterra – Io sono stato il settimo in Italia e il tempo mi ha dato ragione, visto che qualche atleta che mi stava davanti è stato trovato positivo. Quindi non ho paura di essere smentito». Allargando il discorso a livello mondiale, il discorso rimane, «perchè ci sono stati miglioramenti troppo rapidi. Per me il doping non è punito come si dovrebbe – dice ancora Calcaterra – e certe sentenze mi lasciano perplesso. Quanto sta avvenendo nell’atletica, con tanti casi che emergono, è una cosa grave, perchè toglie credibilità al nostro sport, e annulla la buona fede: uno si siede, guarda le gare, vede un atleta che vince e poi pensa ’ma sarà tutta farina del suo sacco?’. So che uno sport senza doping sarebbe un’utopia, e anche che ora le cose vanno meglio grazie ai controlli sul sangue anche a distanza di anni, ma la lotta deve essere ancora più incisiva. Troppe volte l’antidoping mi ha deluso, e chi sbaglia deve pagare davvero». Giorgio Calcaterra  si è messo tante medaglie al collo, ha vinto tre mondiali sulla 100km e una decina  volte il Passatore. Di mestiere fa il tassista e dà alla corsa e allo sport il valore che va dato. Qualche anno fa entrò in una polemica “velenosa” sul doping e sulle convocazioni azzurre per i mondiali della 100km e si beccò anche qualche critica. Giuste o sbagliate non importa però ci mise la faccia cosa che di questi tempi quasi più nessuno ha il coraggio di fare. Ciò che intendeva dire in quella sua protesta è che lo sport che gli interessa probabilmente è uno sport che oggi, soprattutto a certi livelli quando business e sponsor dettano le regole dello spettacolo, si fa sempre più fatica a immaginare.  Ma se si fa fatica a immaginare uno sport professionistico senza doping si fa fatica anche a immaginarlo senza atleti che non giocano sporco, senza atleti che rispettano le regole nonostante tutto. E ci sono. Insomma,  generalizzare è sempre rischioso anche se il problema esiste e ha dimensioni che forse non si immaginano. Domani ’Born to Run continua sempre al Crowne Plaza di Roma e fra i relatori c’è anche il direttore generale dell’Inps Antonello Crudo, che è un tesserato Fidal oltre che un convinto assertore di quanto i benefici della corsa influiscano anche sul rendimento dell’attività lavorativa.