Fabian a Rio, nessuna delusione
“Per sperare di vincere bisogna anche accettare di perdere tutto…”. Vincent Luis, il francese che ieri ha osato sfidare nella gara olimpica i fratelli Alistair e Jonathan Brownlee, divinità potenti e prepotenti del triathlon, ci ha provato. Ci ha messo tutto ciò che aveva e forse anche di più ma poi ha pagato il prezzo di un azzardo che suona un po’ come un peccato di ubris nei confronti degli dei dell’Olimpo triatleta. Che però valeva la pena di fare. Perchè la gara olimpica è sempre una gara olimpica e quando sei lì più che la ragione comanda il cuore. Capita poi di pagare un dazio enorme e ti resta l’amaro in bocca. Lo stesso che Alessandro Fabian ieri sera ha provato a spazzar via con una pizza e un calice di rosso. Si fa presto a dire che il suo 14mo posto è stat una delusione. Si fa presto a dirlo se si leggono i tempi, se si considera che dopo essere uscito terzo dal nuoto e aver tenuto testa ai due inglesi in bici poi ha corso i diecimila in 33’37, alla media di media 3’20 al chilometro, contro i 31’09 e 31’16 dei dei due sudditi alieni di sua Maestà che hanno viaggiato a una media di 3.07 al chilometro. Se fosse stato più prudente, magari…Ma chi vuol fare i conti li faccia. Chi vuole sezionare, tattiche, allenamenti, numeri, programmi e statistiche proceda pure. Però ci sono due modi di raccontare una gara. C’è anche il racconto di ciò che vedono gli occhi, delle emozioni, dei sentimenti, dell’orgoglio di vedere un azzurro là davanti per tre quarti di gara che un po’ ti fa sperare, che un po’ ti fa anche sognare. Ci sono le storie di un’olimpiade che è l’occasione di una vita e non una convention aziendale della Nike o di chissà quale altro sponsor dove si sale sul palco con la lezioncina imparata a memoria e le slide da mostrare al pubblico. Puoi anche esserti preparato quattro anni, puoi anche aver provato e riprovato un percorso che più duro non si può, puoi anche aver promesso ai tuoi allenatori che farai ciò che ti hanno consigliato poi però quando arriva il giorno e ti ritrovi lì a pedalare al fianco dei due fenomeni la logica non serve più. Saltano gli schemi, come nel calcio, come in una finale di Champions quando hai davanti il Real ma capisci che ci puoi provare. Anzi devi, perchè quando ti ricapita più… Allora nuoti davanti e pedali davanti, provi a mettere più distacco possibile tra quelli che sono rimasti intruppati nel secondo gruppo e vada come vada. Poi va male. Pazienza. Poi va male ma comunque per gli occhi e per il cuore, è stata una gara da protagonista. Una gara coraggiosa, perchè ci vuol coraggio anche a osare sapendo che puoi perdere tutto. E’ stato bello vedere l’azzurro là davanti, così come era stato bello quattro anni fa a Londra vedere nella maratona Valeria Straneo giocarsela per un bel pezzo con le keniane, quando nessuno neppure immaginava. Poi è saltata, ma chissenefrega. Però l’emozione è rimasta e rimane. Però, per più di un’ora, il carabiniere azzurro ha fatto sognare tutti quelli che il triathlon lo vedevano per la prima volta e ha fatto venire qualche dubbio a chi invece di triathlon lo mastica da sempre. Fabian là davanti, di boa in boa e a dare i cambi ai due Brownlee, è stato il più bello spot che questo sport abbia avuto negli ultimi anni. Peccato poi che chi lo ha raccontato lo abbia fatto con lo stesso pathos con cui si fa la telecronaca di un sedicesimo di finale del torneo di badmington. Senza nulla togliere al badmington. Peccato poi che poi si liquidi un sogno olimpico ai conticini sui decimi di secondo o su un quattordicesimo posto che vale meno del decimo di Londra. Peccato non avercela fatta. Ma il rimpianto di non averci provato sarebbe stato peggio…