Nella vita bisogna fidarsi. E, di questi tempi, è il miglior messaggio possibile. Bisogna fidarsi sempre, anche quando gira male,  quando sembra che sia finita, quando sei dietro, quando arranchi, quando cadi e ti fratturi una clavicola.  Anche per vincere il Giro d’Italia bisogna fidarsi e Tao  lo ha capito in fretta che dei “suoi” si poteva fidare.  L’ha vinto così il suo Giro, con le sue gambe e con la sua testa ma anche perchè sapeva che Rohan, Filippo, Jonathan, Salvatore e tutti gli altri sulle ammiraglie, in hotel,  in cucina , sul bus e nei magazzini  pedalavano dalla sua parte. Vuoi mettere? Lo ha vinto così il Giro 103, il più strano della storia, il più tormentato tra bolle, tamponi e mascherine. Con una crono che è arrivata in una piazza Duomo deserta in una città spaventata da una pandemia che non ne vuole proprio sapere di andare in fuga. Ma bisogna fidarsi. Sempre, anche in questo caso, così si spera. Venticinque anni, londinese di origini irlandesi, Tao Gheoghegan Hart  è un bel ragazzone allegro di quelli che dalle sue parti incontri nei pub durante le partite dell’Arsenal o del Totteham,  con una chioma vagamente rossa, tagliata a spazzola come è giusto che sia alla sua età, e una non troppo vaga somiglianza con Ralph Malph, scanzonato protagonista di Happy Days. Roba di tanti anni fa,  roba da vecchi, antiquariato.  Lui invece è presente e futuro di un ciclismo che, in questa stagione triste e folle,  ha rivoluzionato le gerarchie. Presente e futuro di ciò che verrà, gioia e disperazione di chi le sue gesta dovrà raccontarle per un bel po’ in radio e tv,  rassegnandosi a rincorrerlo tra Taio, Tao, Teo e  un cognome che solo lui, forse, sa come si pronuncia. In bici Taio, Teo, Tao  ci va da sempre e da adolescente è  cresciuto nel mito di Bradley Wiggins che dalle sue parti Elisabetta II ha nominato baronetto mica per nulla. Ha cominciato una decina di anni fa a pedalare sul serio,  una promessa tra i più giovani dove già se la vedeva con Jay Hindley che però lo metteva dietro, e un po’ in retrovia tra i professionisti dove fino ad oggi  aveva messo insieme quattro vittorie di cui due al Giro quest’anno a Piancavallo e due giorni fa al  Sestriere. Poi però ha deciso di fidarsi e ha fatto saltare il banco. Va così, bisogna crederci nelle cose e lui forse nemmeno lo immaginava come ha raccontato all’arrivo dopo aver abbracciato e baciato la sua fidanzata che era lì ad aspettarlo e aveva già capito tutto perchè le donne, si sa, vanno più veloci: ” In una corsa così-  ha detto con un sorriso di quelli che ti stampano la felicità eterna sulla faccia-  Ho sempre sognato di arrivare nei primi dieci, al massimo nei cinque. Poi però a un paio di  chilometri dalla fine dall’ammiraglia mi hanno detto di non prendere più rischi e mi sono reso conto che stavo vincendo il Giro d’Italia…”. Vedi a fidarsi?  E pensare  che su queste strade non era tornato per questo. I compiti erano altri. Chiari.  La prima crono in Sicilia quindi col freno tirato perchè c’era Geraint Thomas da scortare fino a Milano e così era stato finchè una borraccia non l”aveva tolto di mezzo. Strana la sfiga. Quando sembra che si accanisca invece ti dà una possibilità. Ma bisogna essere svelti a capirlo. Così  Taio, Teo, Tao il Giro se l’è preso perchè si e messo anima e cuore nelle mani di uno squadrone che al traguardo aveva gli occhi lucidi per lui, che non riusciva a trattenere le lacrime.  Che ha vinto sette tappe, che lo ha tirato sulle montagne, che gli ha fatto coraggio quando serviva, che gli ha passato borracce, mantelline, barrette, the caldo e  che non lo ha mai lasciato da solo. Serve la squadra, eccome se serve, Serve anche in uno sport dove quando non ne hai più non c’è compagno che tenga e devi solo raccomandarti a tutti i santi che conosci. E non è detto che basti.  Eppure è sempre meglio avere qualcuno dalla tua parte, se non altro per consolarti. Sul podio al fianco di Taio, Teo, Tao c’erano anche Jay e Wilco, secondo e terzo,  che non si sono degnati di uno sguardo e che  in un paio di giorni,  su e giù dallo Stelvio e dal Sestriere, si sono passati e sfilati la maglia rosa facendo finta di essere amici. Ce l’avevano in mano il Giro ma non pedalavano nella stessa direzione. Non si sono fidati. Peggio per loro…