Tutti felici e contenti tranne uno. Michele Sarzilla, secondo nella Europe Triathlon Cup di Caorle, non chiuderà occhio questa notte. Non si darà pace, almeno fino alla prossima gara, fino al prossimo sprint, fino a che non ritroverà sui suoi passi Csongor Lehmann, il ragazzone ungherese che all’ultima curva gli ha portato via la sua vittoria, per regolare i conti. Vanno così le gare sprint di triathlon. Sono una schioppettata di nuoto, bici e corsa da bruciare in apnea, con polmoni e pupille dilatate, con la bava alla bocca.  E il bergamasco 33enne della DDS-7MP Triathlon Team, già campione italiano sulla distanza olimpica,  così ha fatto. Sempre davanti: una trentina di metri nell’ultima frazione di corsa difesi con tutta l’anima, senza voltarsi indietro, senza respirare e senza far troppi conti perchè non servivano e non c’era tempo. Serviva dare tutto ciò che si aveva in corpo ma non è bastato. Per questo quegli ultimi cento metri gli toglieranno il sonno. Li correrà e li ricorrerà fino a dimenticarli, fino ad esorcizzare la rabbia che resta la benzina migliore per ricominciare già da domani mattina, dal prossimo allenamento, dalla prossima sfida. Sicuro che sarà così perchè questo ragazzo bergamasco di 33 anni, tanto esile quanto determinato, è abituato a rimboccarsi le maniche e a ripartire. Fino a qualche anno fa nuotare, correre e pedalare per lui erano solo una passione da coltivare nel tempo libero perchè gli toccava lavorare sodo. Va così, non sempre si può scegliere la strada. Sognava di fare l’architetto e, come tanti giovani del Belpaese si era ritrovato a servire ai tavoli prima a Londra poi Barcellona ma anche a raccogliere mais e Kiwi durante le vacanze lavoro in Nuova Zelanda. Un’altra vita.  Poi il triathlon è diventato mestiere, un bel treno che passava veloce e bisognava essere capaci di salirci in corsa. Un mestiere preso di petto e sul serio come solo chi non ha più tanti anni da perdere sa fare. Basta guardarlo in faccia per capire che non è tipo che si perde in chiacchiere, concreto così come usa dalle sue parti.  Basta guardarlo negli occhi per capire che oggi è contento a metà e forse anche un po’ meno. Ci sono applausi e pacche sulle spalle, c’è una pletora di persone che gli fanno i complimenti, ci sono tecnici e presidenti soddisfatti e c’è un argento che vale oro. Ma ci sono anche quegli ultimi cento metri che gli toglieranno il sonno, da cancellare il più in fretta possibile.  C’è una canzone di Lucio Dalla che dice: “Sono pochi gli anni forse sono solo giorni, stan finendo tutti in fretta e in fila e non ce n’è uno che ritorni…». Credo sia una delle sue preferite.