Lo scorso anno Lachlan Morton aveva deciso di correre il Giro d’Italia per fatti suoi, un po’ per sport e un po’ per avventura ma poi la sua squadra, la  Ef Education First, lo aveva convocato e gli era toccato correrlo sul serio con un bel pettorale cucito sulla schiena .  Per la cronaca, alla fine era arrivato 111mo a 5 ore e qualche minuto dal Tao Geoghegan Hart che aveva messo dietro tutti un po’ a sorpresa. Ma quella di Morton , australiano di Port Macquarie, una città costiera del Nuovo Galles, è una storia di ciclismo che porta su altre strade. E porta lontano.  E così qualche giorno fa in Bretagna , quando è partito il Tour numero 108,  si è presentato anche lui  per pedalare ma non in gruppo, non in squadra per dare una mano al suo capitano Hugh Carty. Si presentato a Brest su una bici da viaggio con tanto di portapacchi su cui ha caricato una tenda, un fornello,  alcune vettovaglie e la biancheria per affrontare il lungo viaggio.  Il Tour si è messo in testa di farlo in solitaria, come lo facevano i pionieri all’inizio del secolo, percorrendo tappa dopo tappa tutta la strada che faranno i suoi compagni per arrivare a Parigi il 18 luglio qualche ora prima degli altri.  Il Tour di Lachlan Morton non sarà di  3mila e400 chilometri  ma di oltre 5mila e 500 perchè l’australiano farà in bici anche i trasferimenti che le squadre faranno comodamente  in bus e caravan.  Una fatica assurda che lo porterà a scalare 65.500 metri di dislivello, a pedalare almeno 12 ore ogni giorno senza nessuna giornata di riposo. E ovviamente niente hotel, niente pranzi e cene organizzati dai nutrizionisti, niente rifornimenti in corsa, niente  body lavati di fresco, bagni ghiacciati e massaggi, niente medici e fisioterapisti. Niente di niente, come una volta all’inizio del XX secolo quando le tappe iniziavano prima dell’alba ed erano senza tempo. “Sarà una corsa in solitaria per ritrovare lo spirito originale del Tour- ha spiegato l’australiano in una intervista al Guardian pochi giorni fa-  Una sfida d’altri tempi quando i ciclisti pedalavano per tutta la notte, si riparavano le bici da soli,  dormivano male nei campi e nei fossati e mangiavano dove e quando potevano. Quando il direttore del Tour voleva sostanzialmente un solo finisher…”. Sembra una punizione ma non lo è. Chi ama il ciclismo d’avventura va su queste strade e l’australiano si è già cimentato su sfide di lunga distanza: tre anni fa ha corso la Kokopelli Trail negli Stati Uniti, nel 2019 ha percorso tutta la Gran Bretagna, da nord a sud, per oltre 2mila chilometri e l’anno scorso si è schierato alla partenza della  Transibérica.  “Avevo pensato di farlo l’anno scorso durante il Giro, ma alla fine ho dovuto correrlo- spiega il 29enne australiano- ma l’idea mi è rimasta in testa così ho pensato di farlo durante il Tour.  Non sono sicuro di arrivare alla fine. Devo evitare di rimanere bloccato dalla carovana della corsa e so che tutto dipende da me dall’alimentazione al sonno, dalle ore della giornata in cui pedalerò. Preferisco evitare le ore notturne non solo per i pericoli ma perchè è tutto più difficile visto che è mentalmente più faticoso  perché hai molto meno da guardare e tutto ciò che vedi è solo la macchia di luce sulla strada davanti a te…”. Una sfida personale, un viaggio dei sogni che però ha anche una finalità solidale e servirà per raccogliere fondi per la Fondazione World Bicycle Relief, la Ong creata 15 anni fa dall’amministratore delegato di Sram, che produce biciclette per i paesi africani donandole a chi ne ha bisogno e formando squadre in loco per la manutenzione e la riparazione. A dare una mano a Morton come sponsor ci saranno, ovviamente la sua squadra, la  EF Education First e Rapha che hanno già donato  500 biciclette per sostenere un progetto che ha già raccolto più di 170.000 euro. E’ un altro ciclismo. Probabilmente più romantico. Un ciclismo che torna indietro nel tempo o che forse se ne va  parecchio più avanti, lontano  dalle logiche dei grandi sponsor, dal rollerball che sono diventati gli arrivi delle grandi corse, da radioline, frenesia e business. E’ un ciclismo più romantico o forse  solo più folle. Perchè, come ha detto scherzando Jonathan Vaughters, il team manager della Education fisrt quando gli hanno chiesto dell’idea di Lachlan, delle due l’una: “Non so cosa abbia in mente e non credo che nessuno di noi sappia se ce la farà o meno. Ma la terapia non ha funzionato…E’ fuori di testa“.