Domenica, cinque minuti alle 11,  dopo due anni di attesa parte la Roubaix. E’ il ciclismo che si riprende un pezzo della sua storia passata e futura. Annullata lo scorso anno e rinviata da aprile a dopodomani per la pandemia, la Roubaix sarà il solito rito di sempre. Sole, pioggia o vento.  Comunque vada da Compiegne al Velodrome sarà dura come solo questa corsa  sa essere.  Una storia lunga 257 chilometri e mezzo che è un racconto che non si interrompe mai che si è solo presa una pausa. Domenica si ricomincia e sarà la solita magia, con lo stesso fascino, con le stesse pietre, con gli stessi tifosi che una volta erano ragazzini e ora ci portano i figli, con i settori numerati come se si pedalasse nelle sale di un museo, con le stesse case basse, con gli stessi colori e con lo stesso cielo basso, con un mondo davanti alla tv,  con le solite facce stravolte e sporche di fango, con le stesse smorfie, con la stessa fatica. Però forse questa è l’unica corsa in cui le facce contano meno. Chiunque arrivi, chiunque vinca, chiunque abbia la fortuna e l’ onore di alzare le braccia sul traguardo di quel velodromo si stampa nella gloria. Domenica i con i favori del pronostico partono Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert che proveranno qui a dimenticare la delusione delle mondiale delle Fiandre vinto da Julian Alaphilippe che invece non ci sarà. Così come non ci saranno  Tadej Pogacar e Primoz Roglic. Tra gli azzurri, 22 anni dall’ultima nostra vittoria con Andrea Tafi, una chanche se la giocheranno Sonny Colbrelli e Matteo Trentin . Ma chiunque vincerà sarà un uomo di Roubaix. Uno dei tanti ma unico. Speciale. Perchè quello degli eroi di Roubaix è il circolo più esclusivo del mondo. Un’enclave che va oltre il tempo. Basta una volta. Due sono tante, oltre diventa mito. E noi ci siamo là in mezzo. Inutile far nomi chi ama questo sport sa, conosce, ricorda.  Tutto ciò che della Roubaix si deve raccontare è stato già scritto. Chilometri di battaglia, di gioie immense, delusioni terribili. Di cadute, di dolore e di pianti. Tutto ciò che della Roubaix rimane è la sua storia scritta nella polvere o nel fango, sulle pietre che hanno creato il mito dell’inferno dl Nord, di una corsa unica e impronosticabile,  I settori più importanti restano l’incubo della foresta di Arenberg, Mons en Pevele e naturalmente il Carrefour de l’Arbre. In tutto fanno  29 , quasi sessanta chilometri di cubetti che sono davvero la strada verso la gloria.  Nel museo privato di Ernesto Colnago in fondo a sinistra ci sono ancora, conservate come una reliquia, le bici dei trionfi di Franco Ballerini. Le tiene lì,  con il numero attaccato e  sporche di fango:  “Non le ho mai lavate, non le ho mai spostate e non le ho mai toccate-  ricorda l’Ernesto quando permette a qualche fortunato di entrare- Voglio che restino così….”. La prima vittoria della Mapei con le bici in carbonio per Colnago fu una notte insonne perchè il patron Giorgio Squinzi lo chiamò in piena notte alla vigilia della gara perchè aveva paura che i telai si rompessero e voleva correre con le bici in alluminio: “Mi sono messo davanti alla tv e ho pregato- ricorda Colnago- Poi quando da una nuvola di polvere ho visto uscire Ballerini ho ringraziato il signore…”