In un’ora si possono raccontare tante cose. Vittorie, sconfitte, storie di campioni infiniti, come Coppi, Anquetil, Merckx o Moser. Storie di campioni che fanno i record come il belga Victor Campenaert che l'”ora” l’ha conquistata  il 16 aprile di due anni fa ai 1.800 metri d’altitudine di Aguascalientes in Messico a 55.089 chilometri orari . Ma in un’ora si può raccontare anche la storia di un campione che il record non l’ha fatto,  come è successo ieri ad Alex Dowsett che sempre sullo stesso velodromo messicano è arrivato a un soffio dal riprendersi il suo primato, quello che nel maggio del 2015 aveva firmato a sulla pista di Manchester e che era durato 36 giorni perchè poi era arrivato  Bradley Wiggins a portarglielo via. L’ora è l’ora. Fascino, storia,  estremismo o estremità di uno sport che ha un rapporto privilegiato con la sofferenza. L’ora è coraggio. E il trentatrenne britannico di Maldon, una cittadina nella contea dell’Essex,  di coraggio ne ha da vendere. La sua non è un’ora qualunque perchè l’obbiettivo era il record ma forse ne aveva un altro più importante. Dowsett, da quando è nato, soffre di una forma rara di emofilia,  un disturbo ereditario che rende difficile la coagulazione del sangue se si ferisce,  con cui ha imparato a convivere e che non gli ha fortunatamente impedito di fare il ciclista professionista da ormai dieci anni, di imporsi in due tappe  a cronometro al Giro, di vincere per sei volte il titolo nazionale britannico sempre a cronometro. In Messico c’era andato anche per far conoscere Little Bleeders , l’associazione di beneficienza che ha fondato 5 anni fa che raccoglie fondi per aiutare i giovani con disturbi emorragici a praticare sport.  In un’ ora si può anche non c’entrare il record ma si possono anche raccogliere oltre 22mila  sterline da destinare alla sua causa che sono molto di più di un record se si considera che l’obbiettivo fissato ne prevedeva 15.000.  “Un’ora di lacrime, sudore e sangue”  aveva chiamato la sua sfida messicana, un progetto che ha come sponsor principale la Pfizer, l’azienda diventata famosa con il vaccino anti-Covid e che da sempre dedica risorse alla ricerca sui farmaci per le malattie rare.  Un’ora in pista, un’ora a tutta spingendo un 63×13 montato su una moltiplica studiata nella galleria del vento e trainato da una catena in una speciale lega d’oro che avrebbe dovuto favorire la scorrevolezza. Non è bastato. Dowsett si è fermato a 54,555 chilometri più o meno a cinquecento metri da Campenaerts.  Ma in realtà è andato molto più avanti:  “Il più grande fallimento oggi sarebbe stato quello di non aver provato- ha raccontato il campione del team Israel a CyclingNews – Ho passato la mia infanzia a sentirmi dire cosa non potevo fare. Mia madre, mio ​​padre e io sapevamo cosa non potevamo fare come calcio, rugby, boxe. Quindi abbiamo deciso di trovare un’alternativa. Abbiamo trasformato un aspetto negativo in positivo e sono stato in grado di ritagliarmi una bella carriera. Questo dovrebbe essere il messaggio. La vita può porti degli ostacoli, ma la cosa importante è come vengono affrontati». E’ l’ora giusta, anche senza record.