Domenica si corre la 50esima edizione della  maratona di New York.  Non sarà come sempre, perchè dopo un anno di stop per la pandemia,  al via per questioni di sicurezza ci saranno 33 mila podisti ma nessun amatore proveniente dall’Europa se non i top runner tra cui il nostro Eyob Faniel che qui è al debutto. Ma anche senza europei, anche senza gli italiani che da sempre nella grande mela sono la rappresentanza straniera più numerosa  il via dei maratoneti dal ponte di Verrazzano è un segnale importante in tempi di pandemia: significa che il peggio è passato, che se si corre a New York poi si potrà correre ovunque, che se si ricomincia qui si può ricominciare in ogni altro luogo del mondo e che i conti con il virus saranno finalmente quasi regolati.  Già perchè la maratona di new York non è solo una maratona. Nel 1970 quando l’avventura cominciò al via c’erano 127 podisti.  Qualche anno fa  sul traguardo di Central Park il sindaco di New York Bill De Blasio aveva premiato il milionesimo concorrente arrivato al traguardo. Un numero infinito, inimmaginabile che però dà il senso di cosa sia diventata questa corsa, di cosa sia diventata questa maratona che non sarà la più bella e la più antica ma per gli americani e non solo per loro  è la sfida possibile,  è il totem che ognuno pone in cima ai suoi sogni e alla sua volontà. New York è la “terra promessa” di un popolo che non vuole avere rimpianti: così la pensano gli americani, così hanno cominciato a pensare tutti quelli che atterrano qui da ogni spazio del mondo per correre 42 chilometri che poi racconteranno a figli e nipoti. Ed ogni anno c’è un ottimo motivo per esserci. Così andò dopo l’attentato alle Torri Gemelle, così dopo quello di Boston e così andrà domenica.  Punto e a capo. Si ricomincia e si ricomincia proprio da New York  che avrà il sapore speciale di un ritorno alla normalità che forse solo in questo anno abbiamo imparato ad apprezzare.  Trentatremila atleti che, prendendo in prestito le parole del direttore di gara Ted Metellus, “metteranno in mostra la forza, l’ispirazione e la determinazione della nostra grande città”. Ci sarà la fila. Ci sarà la corsa per essere presenti dopo che lo scorso anno anche la New York City Marathon aveva alzato bandiera bianca al cospetto di una pandemia che, dopo aver messo in ginocchio Cina ed Europa, metteva con le spalle al muro anche gli States.  Così è andata. Il mondo si è preso una pausa in attesa di tempi migliori. Che non è ancora detto  che siano arrivati ma domenica trentatremila persone dopo essersi commosse ascoltando l’inno americano quasi per magia cominceranno a correre significa che “a nuttata” è  passata. Correre a New York è il coronamento di un sogno che a volte ti fa nascere e rinascere. O almeno ricominciare.