La Lombardia è a un passo dalla zona bianca. Lo ha annunciato ieri il vicepresidente della Regione Letizia Moratti a seguito del sensibile e costante calo di contagi e ricoveri. Si va verso la normalità, la speranza è quella. Una normalità sanitaria, lavorativa, commerciale che permetterà di mettersi alle spalle l’emergenza anche se qualcosa, o molto, delle abitudini che la pandemia ha modificato resterà. Nel bene e nel male. Ad esempio la mobilità. In questi anni è cambiato il modo di muoversi in città: in tanti hanno imparato ad andare in bici, complici la paura di usare i mezzi pubblici e la voglia di muoversi all’aria aperta e una politica, spesso contestata, che ha portato il Comune ad investire decisamente sulle ciclabili che infatti si sono moltiplicate. Ma Milano non è ancora una città ciclabile. Non lo è perchè la commistione nel traffico è ancora enorme, perchè gli spazi sulle strade sono quelli che sono e ridisegnarli non è facile e perchè il rispetto tra chi va a motore e chi pedala non esiste e viceversa. Così il prezzo da pagare per questo cambiamento è un sensibile aumento degli incidenti che vedono coinvolti bici e monopattini: più o meno sono sette al giorno e nel 90 per cento dei casi i ciclisti investiti sono uomini dai 20 ai 40 anni. Sembrerebbe un dato ovvio perchè generalmente pedalare è «affare» che riguarda più i giovani che gli anziani ma forse a leggerlo meglio verrebbe da pensare che ad essere più coinvolti sono proprio gli uomini di quell’età perchè molti di loro in bici lavorano e nel traffico si muovono. Sono i più esposti al pericolo: per ciò che si è scritto sopra, perchè per consegnare merci e cibo in genere si va di fretta e soprattutto perchè pedalano spesso in assenza di regole. Un esempio? Negli ultimi tempi la maggior parte dei «rider» utilizza le «fat bike», cioè quelle bici con ruote grosse nate per muoversi sulla neve o sulla sabbia, con pedalata elettrica. Sono in tutto e per tutto motorini ma non avendo targa ovviamente non sono soggette a controlli e limitazioni. Chi pedala su questi mezzi va ovunque anche dove spesso non si può. Sarebbe quindi un passo avanti se Regione, Comune, Ministeri insomma chi ne ha il potere, cominciasse con l’imporre alle bici «commerciali» la targa. E ancora cominciasse a rendere responsabile in solido dei comportamenti sulla strada i datori di lavoro. E infine cominciasse a normare seriamente un settore dove chi lavora è spesso sfruttato e costretto a rischiare la pelle per una manciata di lenticchie. La normalità che va riconquistata è anche questa.