Tira brutta aria. L’altra sera a Milano un ragazzo di 28 anni, nigeriano, che stava facendo le consegne in bici, dopo un diverbio è stato volontariamente investito da un’auto sulla ciclabile di Porta Venezia in pieno centro. La sequenza delle immagini fa venire i brividi. Nel filmato, girato da una passante e pubblicato dall’agenzia La Presse, si vede la minicar guidata da un cinquantenne che avvicina al giovane rider con cui discute e poi si allontana. Sembra finita lì, purtroppo no. Dopo un secondo l’auto riappare in senso contrario sulla pista ciclabile, punta il ciclista, lo travolge e fugge. Al nigeriano, che è finito in ospedale con  gamba fratturata in tre punti, poteva andare decisamente peggio. «Dal video si capisce chiaramente che il conducente della minicar non ha fatto nulla per evitare l’impatto, mettiamola così- spiega l’avvocato che difende il ragazzo nigeriano- Al momento  di sicuro abbiamo le lesioni gravi e l’omissione di soccorso. Se il contesto nel quale è maturato l’investimento è quello che mi ha riferito il mio assistito, non escludo che possa trattarsi anche di un tentato omicidio». Ora è caccia al pirata che le forze dell’ordine sperano di poter identificare anche con l’aiuto delle tante telecamere che sono disseminate nel centro di Milano. Da qualsiasi parte la si legga questa storia è allucinante. Che si tratti di razzismo, di intolleranza, di follia o della peggior  balordaggine, se uno in auto,  al termine di un banale litigio, decide di investire una ragazzo in bici, significa che siamo al capolinea. Significa che il livello delle relazioni, del rispetto e della tolleranza è precipitato a livelli di allarme. Non c’entrano bici, mobilità o chissà cos’altro possa aver innescato la discussione. Se la scintilla che porta qualcuno a mettere in discussione la vita di un ragazzo è una lite, significa che la vita ormai conta poco. E non è un bel segnale.