Una squadra” è la  docu-serie in sei episodi di Domenico Procacci  che da qualche settimana si può vedere su Rai-Play. Racconta (benissimo) la squadra composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, i quattro atleti che negli Settanta rappresentarono l’Italia nella Coppa Davis,  allora  e anche oggi, nonostante una formula che lo svilisce, il più importante e blasonato torneo di tennis per nazioni del mondo. E poi Nicola Pietrangeli che, ritiratosi nel ’74, guidò come capitano non giocatore gli azzurri alla loro prima  e fino a oggi unica  vittoria in Davis, nel 1976. Fu la squadra più forte del mondo: fra il ’76 e l’80 le finali giocate sarebbero state in tutto quattro. Nelle lunghe ed oziose giornate di Natale l’occasione di godersi il racconto sportivo e umano realizzato da Domenico Procacci, alla prima prova da regista, è ottima.  Un viaggio nel tempo e nello sport che già allora era business e quindi politica anche se il tempo è una fantastica scolorina capace di cancellare negli anni polemiche, tensioni e lotte di fazione lasciando al ricordo solo l’immagine di una vittoria, di un traguardo, di un gol o di una coppa alzata. E’  il 18 dicembre 1976  quando l’Italia vince la coppa Davis.  Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli sono quattro moschettieri pronti a giocarsi la finale dei loro sogni ma finiscono in una storia più grande di loro. Giocare o non giocare, partire o non partire l’Italia è divisa. Una contro la trasferta cilena perchè «non si giocano volèe nel Cile di Pinochet», un’altra convinta che lo sport con la politica poco c’entri. Anzi nulla. Da una parte tutta la stampa di sinistra che ricorda come anche l’Unione Sovietica non abbia giocato la semifinale contro i cileni, dall’altra un altro pezzo di Italia e chi, come il capitano Nicola Pietrangeli, si fa in quattro per convincere un Paese che la finale di Davis è solo una partita di tennis non un trattato di amicizia con un dittatore.  Un lungo palleggio di ruoli, competenze di decisioni che nessuno vuole prendere. Dalla Federtennis, al Coni fino al presidente del consiglio Giulio Andreotti in un “affaire” che diventa, come sempre capita nel nostro Paese, un affare di Stato. E meno male che ancora non c’era facebook. Tutti cerca di prendere tempo. Poi finalmente ci si rende conto che non partire sarebbe l’assist perfetto per il generale Augusto Pinochet. Decisiva anche la mediazione dell’allora segretario del Pci Enrico Berlinguer, uomo di partito ma soprattutto politico di buonsenso, che si dice strappi per questo suo intervento la promessa di far giocare gli azzurri con le magliette rosse… La finale è salva. Ed è una finale dal pronostico obbligato. Panatta ha appena vinto gli internaziona di Roma e parigi,  Barazzutti in coppa è imbattibile, ritratto di una testardaggine agnistica senza precedenti,  Tonino Zugarelli ha fatto il miracolo londinese conquistando in pratica la finale sull’erba di wimnbeldon. E il Cile  con Jaime Fillol e Patrice Cornejo è poca cosa. Ma forse al Cile non iporta neppure tanto vince. La finale di Davis per Pinochet è l’occasione per spiegare al mondo la sua “democrazia”, per sviare l’attenzione dal suo pugno duro, dal coprifucoco,  dai rifugiati politici, da chi cerca di scappar via, dalle migliaia di desaparecidos. Nella prima Barazzutti batte Fillol  e Panatta travolge Cornejo. Due a zero. Il giorno dopo è solo una formalità perche Panatta-Bertolucci sono uno dei doppi più forti al mondo quando hanno voglia di giocare a tennis e quel 18 dicembre del 1976 hanno voglia eccome.  Strapazzano i cileni e l’Italia alza la Davis. La notizia viene data per radio perchè la Rai Tv non c’è. Polemica che si aggiunge a polemiche.  Che per un po’ non si placano, poi svaniscono. Più di quarant’anni dopo questa è storia.  La storia di una Davis che qualcuno pensava fosse una sfida politica ed invece era una sfida di sport.