Ne ho sentito parlare, con grande passione, da Gabriella Pravettoni , docente di psicologia che, affiancata da Umberto Veronesi, promuoveva la “medicina ad personam”, un nuovo approccio verso il paziente e la sua malattia, per il quale i futuri medici dovranno essere educati. Il malato deve essere considerato una persona, nella sua totalità, e non un numero. Spesso, però, sono gli stessi pazienti a non affidarsi al proprio medico, vuoi per ragioni di imbarazzo e di timidezza, vuoi per difficoltà a comunicare con un professionista sanitario di livello, trovando nell’infermiere una figura più prossima a loro e alla quale confidare le paure e ansie.  Nello specifico, è stata presa in considerazione la necessità di avere personale infermieristico competente e specializzato nella gestione  e cura dei pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica. Conoscete la patologia? Si tratta di una malattia neoplastica che colpisce le cellule staminali del midollo osseo, dando il via ad una proliferazione incontrollata di globuli bianchi a causa di un’anomalia genetica. Oggi grazie ai farmaci e alle cure si può sopravvivere anche a lungo, ma il paziente deve convivere con una patologia davvero difficile da gestire e da trattare, che influisce negativamente sulla qualità della vita. Nel quadro del progetto Euriclea, presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, sarà avviato il corso di Perfezionamento Universitario in “Infermieristica in Ematologia” per preparare il personale a porsi al meglio come interlocutore con un malato di  LMC,  che sottoposto a cura, è soggetto a disturbi gastrointestinali, affaticamento, mal di testa, tendenza a infezioni, sanguinamenti ed emorragie, tachicardia ed affanno, tutti effetti collaterali che richiedono l’intervento di personale sanitario, oltre ad impattare negativamente sulla serenità del malato.  L’infermiere, in questi casi, è indispensabile perché comprendendo le condizioni e le necessità del paziente è in grado anche di informare in modo corretto il medico curante. In questo modo il paziente è posto al centro: la sua qualità di vita avrà dei benefici e sarà pronto a recuperare il suo contesto sociale e lavorativo. Forse ci si sta rendendo conto che l’essere umano non è solo un numero e che, almeno nella condizione patologica, è importante restituirgli la sua dignità di essere umano sofferente.

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