basLa differenza la fa il segno degli occhiali perchè la faccia è quella tirata di sempre. E le gambe anche quasi come alla vigilia di un Giro che riparte. Il segno dell’abbronzatura però non c’è più ma Ivan Basso la parola «ex» non la pronuncia mai.Gli ex vivono di gloria, finchè dura, e a volte di comparsate. Lui no. Perchè le stagioni passano e Ivan, che resta «il terribile» come lo chiamavano quando era piccolo e cominciava a vincere le corse, la gloria l’ha appesa al chiodo. Quella sì. Ora si ricomincia con la bici che resta al suo fianco ma non sarà più un lavoro. Resterà la sua passione, perchè il frusciare delle ruote in gruppo, le fughe, le ali di folla che ti si aprono davanti negli arrivi in montagna, l’urlo della folla sullo Zoncolan come fai a dimenticarli.

Da dove si riparte?

«Da me stesso. Ricomincio sempre da lì quando sono davanti a bivi importanti per la mia vita».

Cioè?

«Sono stato un privilegiato, ho vinto quindi è stato tutto più facile perchè avevo intorno a me chi si preoccupava di risolvermi i problemi».

Un predestinato?

«Da piccolo all’oratorio e poi nelle squadre dove sono stato mi hanno sempre coccolato. Ed è sempre andata così. Amici, allenatori, dirigenti poi addirittura uno staff di persone che si occupavano di semplificarmi la vita il più possibile, di fare in modo che non mi distraessi. Io dovevo solo pensare a correre e a vincere».

Due Giri, due podi al Tour, tante gare vinte cosa resta?

«Resta tutto, ci mancherebbe. Ma ora quei panni me li sono tolti e credo che sia arrivato il momento di capire se ho talento per fare altro».

Però non vuole vivere da vecchia gloria.

«No».

Secco…

«Si, sono abituato così. Decido una cosa e la faccio…

Senza rimpianti?

«In genere no».

Però poteva continuare a correre.

«Avrei potuto. Avevo ancora un anno di contratto e la mia squadra la Tinkoff mi ha messo nelle condizioni ideali per poter scegliere ciò che preferivo».

E lei ha preferito smettere

«Ci sono momenti nella vita in cui il corpo, ma più la testa, ti dicono esattamente ciò che devi fare. Non puoi sbagliare, devi solo essere onesto con te stesso. E io lo scorso anno al Giro ho capito che era arrivato il momento di passare la mano».

Il tumore non c’entra?

«No non c’entra. È stata un’esperienza che ha lasciato un segno ma che mi ha fatto capire molte cose. Ora va tutto bene, nella sfortuna sono stato fortunato perchè è stato preso al momento giusto e quindi spero di poter pensare che anche quello sia un capitolo chiuso. Ma la decisione di smettere di pedalare è maturata per altri motivi, più personali, agonistici»

C’entrano sua moglie e i suoi quattro figli?

«Loro nelle mie scelte c’entrano sempre. Sono la prima cosa a cui penso ogni qualvolta prendo una decisione. Sono il mio punto di riferimento quando tutto va bene e quando le cose non vanno come vorrei…».

Come qualche anno fa quando è rimasto coinvolto in una storia di doping?

«Sì lì sono stati fondamentali perchè quello è stato davvero un momento difficile professionalmente ma soprattutto dal punto di vista personale…».

È stato il momento più buio della sua carriera?

«Sì, sicuramente sì. Anche se poi in realtà è servito a farmi crescere, a farmi capire molte cose. E anche in quel caso ho dovuto ricominciare».

Poi il riscatto.

«No, non avevo voglia di riscatto. Diciamo che dopo la squalifica avevo solo voglia di riprendermi la dignità. Avevo voglia di dimostrare cosa avrei potuto ancora fare senza troppi clamori».

E ora una nuova tappa ancora…

«Sì, voglio dimostrare a me stesso che so fare qualcos’altro oltre che pedalare. A 39 anni si è vecchi per continuare a certi livelli ma si è abbastanza giovani per provare a dare una nuova svolta alla propria vita. Ho voglia di fare qualcosa da solo».

Vede salite all’orizzonte?

«Sì, ci saranno, ci sono sempre le salite in corsa e nella vita. Avrei potuto scegliere strade più semplici ma a me piace così. D’altronde la salita è l’essenza del ciclismo. Che cosa sarebbe una corsa ciclistica senza salite».

E da dove ricomincia?

«Ricomincio studiando. Ricomincio come coordinatore tecnico della Tinkoff e poi ho alcune idee che vorrei provare a realizzare».

Come cycling coffe, la app destinata a iPhone e iPad che ha presentato pochi giorni fa a Milano?

«Sì quello è un esempio. È un punto da cui partire, un’idea mia. È una cosa che avevo in mente da alcuni anni e che ora è disponibile gratuitamente per chi abbia voglia di seguirmi».

E sarebbe?

«È un pezzo del mio mondo. Mi è sempre piaciuto anche quando correvo seguire l’attualità, le informazioni che riguardavano il ciclismo e non solo. Però il tempo era quello che era durante gli allenamenti. Così ho voluto creare una applicazione che permetta di avere tutto insieme e che possa essere consultata più velocemente possibile. È un punto di contatto nel mondo dei social».

Allora un po’ continua a pedalare?

«È tutto cambiato. È diverso. Ora voglio riprendermi il mio tempo e pedalo per star bene. Prima facevo 35mila chilometri l’anno in bici, era il mio lavoro. Ora esco quando ne ho voglia, però ho cominciato anche a correre e a giocare a tennis».

Tornerà in bici sullo Zoncolan?

«Non lo so. È stata una tappa importante della mia carriera ed è una salita storica. Come tante. Come tutte quelle che ho scalato in giro per il mondo. Ma ognuna ha la sua storia. E forse il suo tempo…».

Quindi basta?

«Credo di sì…».

Crede?

«No, sono sicuro».

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