E venne il giorno dell’antidoping a sorpresa anche nel calcio  così come da anni, e da sempre, succede in altri sport meno “nobili” come l’atletica, il ciclismo, il canottaggio, la scherma e via elencando.  Nel calcio dei grandi campioni, dei grandi contratti e dei conti in rosso, delle televisioni, degli stadi che si preparano a riaprire e del business che viene prima,  l’antidoping però pare sia pratica mal sopportata. I controlli  a domicilio e negli orari più insoliti, tirando giù dal letto atleti che devono sempre far sapere dove dormono e dove si svegliano, nel dorato mondo pallonaro non sono infatti  routine, come accade con gli sport “minori”, perchè in genere la maggior parte dei test viene fatto al termine delle partite. Nel 2019, tanto per farsi un’idea,  nel  calcio del nostro Paese che conta oltre un milione di tesserati, gli esami non programmati  sono stati poco meno di 500 e quasi sempre effettuati nei centri di allenamento. Ed è ciò che è successo lo scorso 7 febbraio  nel centro sportivo dove si allena l’Atalanta di Gian Piero Gasperini che non ha per nulla gradito l’intromissione nei sacri spogliatori dell’ispettore medico della Nado, l’agenzia antidoping nazionale,  incaricato di testare quattro atleti nerazzurri poi risultati, per onor di cronaca, tutti negativi. Ma Gasperini ha perso le staffe e , per usare un eufemismo, non deve essere stato tanto tenero con il malcapitato ispettore tant’è che è stato deferito al Tribunale nazionale antidoping per violazione dell’articolo 3 del Codice Wada che norma il comportamento offensivo nei confronti del personale addetto ai controlli. L’allenatore nerazzurro era stato invitato ad ammettere la colpa e patteggiare ma si è rifiutato così il 10 maggio verrà giudicato e rischia una squalifica. Ma il punto forse è un altro. Dare in escandescenze perchè gli ispettori dell’antidoping piombano in un centro sportivo per fare un controllo è grave per tanti motivi ma almeno per un paio è gravissimo. Innanzitutto perchè pare arrogante imbufalirsi con qualcuno che sta solo facendo il proprio lavoro e poi perchè l’antidoping è il solo modo ( purtroppo non sufficiente) per evitare che il marcio che mette a rischio lo sport lo divori del tutto. I controlli antidoping, in qualsiasi luogo e in qualsiasi ora come avviene altrove, andrebbero accolti se non con applausi e sorrisi, almeno con educazione e e non come una perdita di tempo o una lesa maestà. E soprattutto senza le sceneggiate a cui il calcio ci ha abituato quasi fossero in rigore negato o un fuorigioco sanzionato dal Var.