Torno a parlare di Lance Armstrong perchè stamattina mi hanno colpito due cose. La prima è che il texano ieri è tornato a correre ad Aspen in  Colorado ed è arrivato secondo dietro un ragazzino di 16 anni che gli ha dato 5 minuti. E uno che dovrebbe avere altri pensieri per la testa  se torna in bici a far fatica per settanta chilometri sulle montagne in un gara che non si fila nessuno, vuol proprio dire che ha la testa dura. Altro che “mollare”. L’altra è l’intervista sul Corriere della Sera a Paolo Savoldelli, due volte vincitore del Giro e suo compagno di squadra alla Discovery Channel nel 2005. In buona sostanza il “Savo” dice che la mano sul fuoco non la metterebbe per nessuno ma che Lance aveva tanti nemici e qualcuno ora vuol fargliela pagare. E ancora che era uno spaccone, che se voleva doparsi non lo avrebbe fatto certo davanti a tutta la squadra come dicono i suoi accusatori e che un’indagine che va a cercare il doping 14 anni dopo non ha senso. Allora perchè l‘Usada non indaga anche su Coppi, Bartali e Merckx? Insomma il “Savo” mi sembra che stia dalla parte dell’americano anche se alla fine dice: <Anche con me non si è comportato bene. Al Tour faceva un po’ il padre-padrone e infatti ci siamo lasciati male…”.  Vale quanto vale, comunque è un piccolo tassello a difesa di un campione che ora molti cercano di far passare per un “tarocco”.  A difesa di un  atleta che nel bene e nel male resterà nella storia del ciclismo e dello sport moderno. Che ha dato la forza di tirare avanti a milioni di malati di cancro e che, per ora, resta ancora in maglia gialla. Visto che non è l’Usada, l’agenzia americana dell’antidoping,  che può decidere di cancellare le sue vittorie ma l‘Uci , l’Unione ciclstica internazionale, che per il momento sta alla finestra. Quanto a Lance, almeno in apparenza, non sembra poi tanto preoccupato: “Nessuno deve piangere per me- ha detto ad Aspen scendendo dalla sua mtb- me la cavero’ benissimo e ho un sacco di cose da fare…”. Ma cosa ti vuoi aspettare da uno spaccone cow boy texano?

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