Rischiamo davvero di “essere conquistati” dai musulmani?
È tutta questione di… incontro.
Ti presenti con il velo per essere assunta da un ditta austriaca, non te lo vuoi togliere: verrai risarcita perché vittima di razzismo religioso.
È ciò che nella sostanza si evince da questo articolo e che dimostra quanto sia dilagante, al di là della giurisprudenza e delle leggi, l’ignoranza antropologica in alcune sacche culturali della nostra grande Europa.
Penso che sia chiaro per tutti, anche ai bambini che frequentano una prima elementare italiana (il che è tutto dire…), che esiste una differenza fra il concetto di conquista e quello di integrazione.
Con il primo termine, si intende chi agisce come hanno fatto i popoli conquistatori durante la costruzione dei loro immensi imperi: invadevano un territorio, soggiogavano, uccidevano e riducevano in schiavitù la popolazione che incontravano, ed annettevano quel territorio al proprio Impero. Quando ci si comporta in questo modo, ci si vuole appropriare di qualche cosa, dal territorio ai suoi abitanti, senza guardare in faccia nessuno, specialmente i popoli da sottomettere.
Il concetto di integrazione è completamente diverso, perché prevede una compromissione di atteggiamenti culturali e di concezioni che vi stanno alla base. Il termine compromettere deriva da cum pro mittere, ossia mettere a favore di qualcosa azioni da compiere con qualcuno.
Ora, molti pensano che l’atteggiamento diffuso dei musulmani sia quello della conquista: “Vengono a casa nostra e non rispettano le nostre regole” si sente dire a ogni piè sospinto. Vero, in certi casi. Ma forse, come si evince anche dall’articolo di cui sopra, anche noi ospiti abbiamo qualche responsabilità. E, forse, anche noi padroni di casa possiamo fare qualcosa per non sentirci terra di conquista.
Ma cosa?
Come possiamo affrontare quello che ora è, a tutti gli effetti, uno scontro tra due civiltà, la nostra, quella occidentale e quella musulmana? Possiamo fare qualcosa per trasformare lo scontro in incontro?
Ecco qualche piccolo consiglio:
a) non esprimere giudizi basati sull’apparenza delle cose (e questo è valido strumento utile non solo verso gli stranieri, ma verso tutte le cose della realtà); b) informarsi sulla storia delle proprie ed altrui tradizioni culturali, grazie alle quali si formano credenze e convinzioni diverse; c) fare esercizio di civiltà, bandendo dai propri comportamenti ogni forma di aggressività.
Questi metodi concreti possono, se esercitati, diventare un’abitudine, uno stile di vita quando due culture si incontrano, per cercare di convivere in pace fra loro. Perché, sarete d’accordo, l’Uomo vive meglio (il suo tenore di vita è qualitativamente migliore) in tempo di Pace. Insomma, per realizzare un incontro sia lo straniero e l’ospite devono concretamente realizzare azioni che favoriscono l’integrazione di entrambi. E non importa chi lo fa per primo.
Ancora una volta, la scelta spetta a ognuno di noi. Siamo pronti?