È tutta questione di… organizzazione.

Michel Foucault sostiene che il potere produce realtà, perché è costituito da un insieme sistemico di conoscenze che organizzano, etichettano e misurano il mondo in modo alquanto preciso.

Per esempio, la scienza, la religione oppure l’economia possiedono una logica interna, degli assunti specifici, un loro lessico e vocabolario tecnico, con i quali manifestano le loro idee di base.

Un ministro del culto considera il mondo in termini di grazia, mentre uno scienziato in termini di evidenza empirica e un manager in termini di profitto. Ognuno di questi individui possiede una propria percezione del mondo, e le idee e le credenze di ciascuno influenzano i loro stessi comportamenti, incoraggiando alcune azioni e scoraggiandone altre.

Quando i sistemi di conoscenze vengono accettati – quelli che riguardano la fede in Dio, la scienza oppure il capitalismo, per esempio – diventano presupposti culturali che acquistano un alto livello di scontatezza, assumendo quindi un enorme potere e una grande influenza. E molto spesso, coloro che mettono in discussione oppure contestano questi sistemi dominanti di conoscenze sono emarginati, ostracizzati e persino puniti.

In realtà, ciò che ci appare ovvio dovrebbe sempre essere indagato, con attenzione ed onestà.

Il filosofo francese del Novecento che ho ricordato, Michel Foucault, conia la locuzione “potere/conoscenza” per dimostrare che il modo in cui vediamo e interpretiamo il mondo ci illumina e allo stesso tempo ci condiziona.

E questo avviene perché i sistemi di conoscenze ordinano, classificano e rendono visibili i diversi aspetti della realtà, e ci mettono nella condizione di controllarla in modo più efficace.

Nonostante alcuni individui traggano un notevole beneficio da determinate conoscenze –  come il clero che possiede un considerevole potere nelle teocrazie, mentre gli psichiatri sono particolarmente ascoltati nella nostra attuale società – non riescono a controllare l’uso che le persone possono fare delle conoscenze che essi producono.

In altre parole, gli individui non esercitano il potere, ma si muovono piuttosto all’interno di un sistema di conoscenze. Ecco perché il filosofo francese affermava che non siamo tanto noi a utilizzare il potere, quanto è il potere a influenzare il nostro Sé, perché noi siamo il prodotto del potere.

Sulla base di questi presupposti, mi sembra ora più semplice comprendere che le relazioni di potere si manifestano in una infinità di ambiti locali, come la famiglia, l’ambiente di lavoro, l’ambulatorio medico, l’aula universitaria, il carcere e la chiesa.

In sostanza, il potere è frammentato in tante forme diverse e molto spesso non ci rendiamo conto di essere noi stessi a costruire queste forme.

Fra i vari sistemi di potere più influenti in assoluto, forse il primo è costituito da quei sistemi di conoscenze che inducono le persone a modificare “spontaneamente” il proprio comportamento, monitorando quindi le proprie azioni in modo da conformarsi pedissequamente alle aspettative.

Sarebbe dunque auspicabile rendersi conto di come ognuno di noi, in una società globalizzata come la nostra, sia vittima di un auto-sorveglianza che opera in favore del mantenimento di quei comportamenti che le diverse forme di potere desiderano.

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