Sono davvero solo canzonette?
È tutta questione di… sincerità.
Non ho visto Sanremo, perché non sono attratto da questo tipo di performance. Ho però ascoltato ripetutamente, e con attenzione, la canzone di Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi, Io sono una finestra.
Prima che i miei lettori, sempre molto gentili nei miei confronti, anche quando non sono in accordo con i pensieri che esprimo, proseguano nella lettura del contenuto di questo scritto, devo chiedere loro una cortesia autentica: commentate solo nel caso in cui abbiate il coraggio – ossia il cuore – di essere sinceri, totalmente e avvantaggiati dall’anonimato.
Io cercherò, come tento sempre, di esserlo.
Non giudico la canzone dal punto di vista musicale, né da quello prettamente canoro, perché l’armonia pacata e l’andamento spianante non necessitano di ulteriori riflessioni. Evidenzierò solo alcuni passi testuali, e colgo l’occasione perproporVi alcune domande e considerazioni. Ascoltiamo e dunque leggiamo.
- “(…) di me che sono specchio delle contraddizioni“: chi di noi può dirsi esente da questo concetto? Chi di noi, nel corso della propria vita, può dirsi certamente preservato dall’affermare qualche cosa che si ritroverà a negare in futuro, magari di fronte al fatto di scoprire in famiglia quella lebbra giudicata ripugnante?
- “(…) difficile vedere se il vapore non svanisce“: come possiamo eliminare la nebbia che abbiamo di fronte se non cambiamo aria nell’ambiente, se non ci mettiamo a pulire il vetro che ci impedisce una visione corretta, anche se quello che vedrò potrà non piacermi? E quante sono le cose che non ci piacciono ma che frequentiamo quotidianamente per qualche tornaconto personale, o per avanzare nella carriera?
- “(…) anche se oltre il vetro per me non c’è mai Dio“: penso che tutti gli uomini siano nelle condizioni di aprire la loro finestra a Dio, e mi chiedo se qualche volta non si trovi la maniglia per farlo solo perché gli altri, i benpensanti, l’hanno bloccata per sempre. La finestra a Dio non si apre da soli, ma solo con gli altri, anche quando sembriamo eremiti in mezzo alla folla, per la paura di essere scoperti nelle proprie originalità o diversità.
- “(…) questo è solo un corpo, il riflesso grossolano di donna o forse uomo, comunque essere umano“: come pensate si possa condurre una vita di coppia, quella “normale” uomo-donna, senza che il primo non possieda qualche caratteristica della seconda e la seconda del primo? Con quale parte dell’altro o dell’altra si va d’accordo se non con quella parte di noi che è presente nell’altro/a ma che in noi cerchiamo di nascondere?
La mia conclusione è la seguente: il vero amore è sempre fra sconosciuti, perché tutti siamo sconosciuti, e resta sempre qualcosa di noi da scoprire, che rimane parte del nostro più intimo mistero. La Natura (oppure il Dio di ciascuno di noi…) ci mette a disposizione una lunga vita, per scoprire che avremmo potuto amarci di più se non ci fossimo basati su fasulle apparenze e limitanti pregiudizi.
La meta la raggiungiamo quando ci arrendiamo di fronte al fatto che siamo solo miseri, identici e banali esseri umani.