Ultimo viaggio
Tutta questione di… disallineamento.
Ricordiamo tutti i vivaci dibattiti precedenti l’emanazione della legge sul biotestamento. Ricordiamo anche quanta esultanza all’indomani della sua promulgazione. Bene, dimentichiamoci tutto. E non perché sia acqua passata, ma perché la morte non è più un fatto del quale si debba o si possa discutere in pubblico. Non serve a nulla parlarne in sedi politiche più o meno decentrate, in parrocchia o in Vaticano, dal parrucchiere o in Parlamento.
Da qualche giorno, un medico australiano di nome Philip Nitschke ha immesso nel mercato una macchina acquistabile on line, oppure producibile in autonomia con una semplice stampante 3D, grazie alla quale ogni persona può praticare l’eutanasia su se stessa, senza ricorre all’aiuto di qualcuno. “Sarco” – il nome della macchina, abbreviativo di sarcofago – è maneggevole, di ottimo design, di scarso ingombro e funziona in modo semplice: basta sedersi all’interno dell’abitacolo, chiuderlo, ed aprire la valvola che insuffla azoto. La morte è abbastanza rapida. Anche indolore, perché preceduta dallo stato di ebbrezza tipico della mancanza di ossigeno.
Verrebbe da pensare che, magari, è riservata a coloro che si trovano in stato di terminalità. No, assolutamente no. Compiuti cinquanta anni, chiunque può comprarla compresi gli esseri umani sani. Sì, avete letto bene, ho scritto “sani”. Certo, forse dovremmo discutere più diffusamente su quale tipo di sanità mentale la nostra società occidentale sta producendo, alimentando e dunque utilizzando per i propri scopi commerciali. Perché una macchina simile, di cui evidentemente si sentiva la necessità? Non lasciare che sia il Padreterno, oppure il caso, a decidere il “quando” ed il “come” chiudere il nostro ciclo vitale, ma rimettere questa decisione alla auto-determinazione privata di ciascuno di noi. La conquista di un ulteriore, ultimo, spazio di libertà.
Eppure, non ho nessuna intenzione di demonizzare il dott. Nitschke. Al contrario, egli ha fatto quello che qualunque bravo imprenditore deve fare, ossia intercettare le richieste del mercato e fornire i beni ed i servizi che il mercato chiede. Accade sempre così, dalla notte dei tempi: si propone, oppure si inventa, qualcosa che nelle sue parti essenziali è comunque già presente nel mondo come richiesta. Antico rapporto fra domanda e offerta. Tutto qui. Semplicemente.
Però, dal mio punto di vista, antropologico-mentale, la questione è altra. Siamo in presenza di un mercato regolato da individui che ritengono di poter decidere, in via assolutamente autonoma, l’ora ed il minuto in cui morire. La morte non è più un fatto che riguarda una comunità familiare, amicale, sociale. Non è più terreno di discussione, di opinione, magari di scontro ma pur sempre di confronto tra simili. L’aborto verso se stessi, perché di questo si tratta, diventa possibile in qualsiasi momento, giustificato dalla sua semplice esistenza come espressione individuale. Insomma, sempre più soli, emarginati anche rispetto ai propri bisogni vitali di comunicazione, di affetto.
Quando si riesce a sottrarre una qualsiasi questione umana, in questo caso la questione “morte”, alla verbalizzazione e allo scambio intellettuale, l’autoreferenzialità umana diventa un vero e proprio mito. Anzi, finalmente diventiamo dio. Ognuno di noi può decidere di premere il pulsante dell’azoto chiudendo così ogni discussione al riguardo.
Ora, una sola domanda: siamo davvero certi che questo livello di autarchia personale corrisponda a un reale progresso umano?