È tutta questione di… evoluzione.

L’impatto di un asteroide con la Terra decreta la fine del regno dei dinosauri e l’ascesa dei mammiferi. Si pensa.

I mammiferi, già parzialmente diversificati fra loro, vivevano da lunghissimo tempo confinati in ristrette nicchie ecologiche, con una dieta a base di insetti ed una vita notturna, sottoposti però alla tremenda pressione selettiva che i dinosauri avevano esercitato fino ad allora. In alcune centinaia di migliaia di anni, da quei nostri remoti antenati emergono altre specie, di forma e dimensione diverse, secondo un fenomeno che gli antropologi fisici chiamano radiazione adattativa.

Fino agli anni Sessanta del Novecento, si credeva che l’evoluzione fosse, quasi esclusivamente, il risultato di lente modifiche genetiche, selezionate dall’evoluzione stessa. Si pensava che tutto questo fosse avvenuto lentamente e lungo l’arco di millenni. Una visione che si definisce, appunto, gradualismo filetico, con la quale si sosteneva che il cambiamento evolutivo fosse stato e fosse graduale, e che quindi, la comparsa di nuove specie non fosse stata improvvisa.

Le ricerche paleo-antropologiche successive hanno dimostrato che, nonostante si possa continuare a ritenere valida l’idea del gradualismo filetico, in alcuni periodi storici l’evoluzione è avvenuta per accelerazione improvvisa. La comparsa di nuove specie potrebbe essere avvenuta per improvvisi slanci. In effetti, l’annientamento dei dinosauri ha provocato uno slancio dell’evoluzione dei mammiferi, da quel momento in poi liberati dalla predazione di quei mastodontici rettili del Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa).

A conciliare le due posizioni teorico-interpretative sull’evoluzione, nel 1972, ci pensano due ricercatori: Stephen Jay Gould e Niles Eldredge.

A conclusione delle loro ricerche sul campo, propongono ciò che oggi si definisce la teoria degli equilibri punteggiati. Secondo loro, la storia della vita sulla terra non si è solamente scandita secondo un ritmo evolutivo uniforme, ma si sono verificate anche “punteggiature evolutive”, ossia episodi di brusco cambiamento ricordandoci che il termine “brusco” fa riferimento a tempi geologici, non a quelli della nostra vita quotidiana.

Dagli anni Settanta in poi, questa interpretazione ha ovviamente innescato un acceso dibattito scientifico, ma oggi è comunemente accettata, proprio perché non disconosce la presenza di un’evoluzione costante e lenta, ma fornisce una spiegazione plausibile rispetto ad eventi che si presentano relativamente “rivoluzionari”.

Quando affrontiamo temi che riguardano la nostra evoluzione, la nostra presenza storica in millenni di tempo su questa terra, la cautela e la prudenza non sono mai troppe. La maggior parte delle persone, non necessariamente esperte di antropologia, di mente e di storia, si rendono conto, assieme ad altrettanti esperti, che siamo una specie del tutto particolare, rispetto alle altre presenti sul pianeta.

È sotto gli occhi di tutti. Il fatto è che lo siamo tanto nel bene quanto nel male.

Per esempio, se osserviamo le nostre capacità adattative, ci rendiamo conto (e questo accade ovunque, e anche in tutte le nostre esperienze quotidiane) che siamo unici in questo.

Abbiamo colonizzato ambienti molto diversi tra loro, su un vastissimo spazio e nell’arco di un tempo relativamente breve; abitiamo luoghi spesso estremi, come deserti, foreste pluviali tropicali, oppure ambienti di alta quota, e così via.

In poche parole, siamo ecologicamente unici.

La comprensione di noi stessi, la nostra evoluzione e dunque anche la nostra funzione esistenziale come specie, non è esclusivamente legata alle primigenie tracce materiali di complessità tecnologica, alle diverse forme d’arte oppure al solo pensiero simbolico. Ma dovremmo considerare l’Uomo come una specie ecologicamente determinante, vincolante e vincolata, con caratteristiche biologiche e mentali decisamente uniche, seppure presenti in tutto il globo terrestre.

Ecco, ho la sensazione che pochi umani siano consapevoli di tutto questo, specialmente nell’adozione di scelte comportamentali poco evolutive.

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