crisiE’ tutta questione di… educare alla vergogna.

Il problema è serio, serissimo: il PD è in crisi antropologico-esistenziale.

Sono passati diciotto giorni da un voto politico che gli italiani attendevano per esprimere i loro (ri)sentimenti verso una intera classe politica. Al di là degli slogan, di scarso contenuto comunicativo, ancor prima che sociale, abbiamo assistito in questi anni a riforme etero dirette, con comportamenti vintage di chi si sente sottratto al giudizio altrui. Tutto questo ha prodotto ben poco o, per meglio dire, ha allargato la forbice della disparità sociale, ponendo una vera e propria pietra tombale sulla pazienza di chi quelle riforme e quei comportamenti li ha subiti.

Sono passati diciotto giorni e il risultato elettorale ci ha consegnato un’Italia diversa. Condivisibile? Non condivisibile? Non importa. Ciò di cui tutti siamo chiamati a renderci conto è che oggi, 22 marzo 2018, ci troviamo in un’Italia diversa. La riforma elettorale ha sortito l’effetto del tripolarismo, cosicché nessun partito o movimento è in grado di formare, da solo, un governo. Per questo la situazione è labile, molto. Soprattutto ora, che il Quirinale ha fatto conoscere l’indisponibilità del Presidente Mattarella a governi a tempo, ad un “Gentiloni bis” e ad un suo ruolo come “suggeritore”. Ora, tutti i capi di partito  sono presi dal verificare l’esistenza di punti di convergenza tra una forza politica e l’altra, e sono tutti intenti a verificare possibili alleanze od appoggi esterni.

Tutti, nessuno escluso? Anzi no. Tutti, tranne il PD che, totemizzata la posizione renziana, imbavagliate le istanze della corrente “emiliana” e guardata in tralice l’adesione di Calenda (si permetterà per caso di proporsi come nuovo Segretario?), si è velocemente messo all’opposizione. È troppo occupato nel suo ultimo e catartico compito, importantissimo in questo momento: la psicanalisi della sua crisi politica e partitica.

L’Italia ha velocemente bisogno di un nocchiere perché le politiche del lavoro premono, la giustizia preme, la sanità preme, l’Europa preme e il PD si stende sul lettino del suo 19% per “interrogarsi sul suo futuro”. In realtà non c’è molto da interrogarsi.

Abbiamo semplicemente assistito all’ennesimo caso di personalismo renziano, all’empireo in cui la dirigenza del partito ha preso albergo, scollandosi dal proprio elettorato storico, dalle periferie, dai lavoratori nelle grandi imprese globalizzate. Con un avvicinamento ai centri di aggregazione economica e finanziaria del potere (leggi: Marchionne & C. e sistema bancario), parole spese prima della sconfitta referendaria e puntualmente disattese, nonostante il rovinoso risultato del 4 dicembre 2016. Su cosa vogliono interrogarsi ancora? Non sono in grado di dare una risposta? Potrebbero andare a lezione dalla ex Ministra Fedeli. Però, le parole, come diceva il buon Michele Apicella “bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”, quelle giuste, le si devono trovare nel cervello, prima di trasferirle alla bocca. A volte, è persino meglio negare questo trasferimento.

Peccato che, nel metodo e nel merito, il PD sia rimasto fermo al 1989. A distanza di 29 anni, cerca ancora le parole giuste per analizzare la sua malattia: la mancanza di senso nella sua stessa storia. Attendiamo fiduciosi. Io sono un antropologo, e della mente, quindi sono abituato a pensare in termini di millenni.

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