Caro Silvio, Le scrivo…
È tutta questione di… ritorno alle origini.
L’idea della vita umana come determinata, nelle sue qualità distintive, dalla concretezza della materia, dalla crudezza dei rapporti di potere, dalla relazione inevitabile tra capitale e produzione, ha condotto alla dissoluzione del pensiero social-comunista. Per un semplice motivo: quando l’idea di benessere esistenziale deriva dalla convinzione che sia l’Uomo, semplicemente con la ragione e le sue leggi, a determinarne l’attuazione e la sua verifica morale, nessun successo sarà mai garantito. In altre parole, se affidiamo all’Uomo il compito di realizzare la soluzione dei conflitti che lui stesso procura per egoismo personale, e per il gratuito esercizio del potere, non andremo mai incontro ad un progresso uguale ed utile per tutti.
Il grande filosofo Ludwig Wittgenstein diceva che “il senso di questo mondo è fuori da questo mondo”, per cui se vogliamo risollevarci da questa situazione di stagnazione politico-culturale nella quale siamo caduti, sia come nazione che come intellettualità accademica, dobbiamo individuare mete che si trovano oltre il volere umano, al di fuori di questo mondo. In effetti, abbiamo realizzato sostanzialmente ancora troppo poco per dirci davvero primati umani terricoli evoluti, specialmente quando perdiamo continuamente di vista la rotta.
Qualsiasi evoluzione antropologica oggi, ossia riferibile alla globalità della nostra specie, dovrà superare l’autodeterminazione nazionale e dirigersi verso un benessere che sia necessariamente solidale e planetario. La fiducia in una sorta di illuminismo politico ha mietuto le sue vittime, esattamente come è accaduto per il modello comunista, perché le leggi di mercato sono espressioni del volere umano, anche quando ci dicono il contrario. In poche parole, se le cose vanno male è solo colpa nostra, nostra come essere umani, tanto individualmente quanto collettivamente, perché solo la morte è nel potere dell’Uomo, quella che dirige verso se stesso e che infligge agli altri.
Ecco perché, Caro Silvio, Le scrivo: perché alle origini, in quel lontano 1994, il significato profondo della “discesa in campo” era un insieme articolato ed integrato di “idee per il futuro”, applicate tanto all’Italia quanto ai suoi cittadini. Si parlava di squadra, di speranze comuni, di un’idea precisa di sviluppo industriale, di motivi per cui i giovani avrebbero dovuto investire nella loro patria, di unione e di condivisione per tutti e con tutti coloro che avessero chiara in mente la parola libertà. E la libertà, in chiave antropologica, è semplicemente il luogo delle scelte possibili, parafrasando colui che ne teorizzò la presenza ideale nel novecento, Jean Paul Sartre.
Solo se il Suo nuovo soggetto politico sarà nelle condizioni di far nascere nella mente dei cittadini e dei giovani l’idea di occasione, di opportunità, oltre i dati catastrofici delle misere realizzazioni umane, potrà avere ancora successo, perché senza ideali e mete trascendenti nessun individuo si mette in marcia e sopporta fatica e sofferenze.
Il vero pensiero liberale produce una ricerca di senso che travalica la mercificazione delle azioni umane, la loro monetizzazione (prodotta invece dal marxismo in tutte le sfere dell’agire umano), e colloca anche la politica nell’ambito delle conseguenze delle decisioni prese, non nelle azioni a breve termine.
Potremmo così parlare, alla fine, di un “nuovo mondo” liberale, quello che innerva le proprie radici antropologiche italiane in Cristoforo Colombo che ha saputo trovare una terra che già esisteva andando in direzione opposta, mentre cercava di raggiungere quello che desiderava trovare.
Solo oltrepassando i limiti umani e la miseria che tutti noi incarniamo potremo risorgere, e per fare questo dobbiamo ritrovare i motivi per non arrenderci di fronte alla presenza di un pozzo che continuiamo a scavare inconsapevolmente, quando lasciamo che il pessimismo, la svogliatezza e la resa siano gli strumenti per distruggere ogni ideale di vita comune migliore.