foto stefano craccoÈ tutta questione di… giusta misura.

C’è chi canta, a squarcia gola o senza voce, chi danza, camminando o dinoccolandosi, con o senza pattini su ghiaccio, chi racconta barzellette e si sente del Sud, oppure del Nord, chi manda posta e riceve posta, chi vuole diventare la nuova star della Rai, oppure rimanere amico della Maria nazionale, e così via.

E senti dire, dai giudici assoldati per l’occasione, che alcuni di loro sono dei “grandi”, persino strepitosi, magnifici, magistrali, unici nel loro genere, “esattamente quello che la nazione sta cercando”.

E non parliamo di quelli che vanno nelle isole, perché a questo proposito, non si può che stendere un velo di pietoso silenzio con un tacere prolungato.

Ma perché tutta questa esagerazione nei giudizi e nella richiesta giovanile di partecipazione a queste trasmissioni di talento ricercato, anelato e sponsorizzato?

Perché la vita quotidiana, dei veri grandi uomini che lavorano tutti i giorni, non interessa più a nessuno, non ha più senso ed è troppo normale per essere oggetto di una qualche aspirazione, mentre la ribalta dell’apparenza crea denaro, successo e fa sentire realizzati.

E chiedo a tutti voi: se questo è il futuro che i nostri figli desiderano, come possiamo educarli al silenzio dei chirurghi, degli avvocati, degli insegnanti, dei genitori, dei commercianti, dei minatori, degli architetti, degli ingegneri e degli scrittori?

Eh sì, perché ora invece di preoccuparsi di migliorare il livello mentale di un popolo con l’impegno quotidiano, apparentemente banale e comune ai più, con un lavoro che produca cose concrete utili ad un benessere vissuto da tutti, si può cantare e ballare.

Il mio è solo un invito a recuperare una giusta misura che sembra persa, all’interno della quale le diverse espressioni artistiche siano il contraltare di altrettante espressioni concrete di cambiamento reale e non solo comunicato o rappresentato. Per esempio, le case per gli operai, l’assistenza per i malati terminali, l’accoglienza per diseredati, le leggi civili per i “diversi”, lo studio in patria per le eccellenze: a tutte queste cose chi ci pensa facendo in modo che i giovani investano tempo e studio per la loro realizzazione?

Non confidiamo nello Stato italiano, fermo da oltre vent’anni, e sordo a queste problematiche, ma diamoci da fare in famiglia e forse anche in televisione, inventando qualche programma che oltre a cantare insegni anche a lavorare, magari per diventare falegnami, idraulici e muratori.

Se c’è quella farsa di Master Chef, potrebbe esistere anche Master Citizen, o no?

 

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