ossessioneÈ tutta questione di… involuzione social(e).

Nel leggere questa notizia, il titolo del mio intervento odierno sembra proprio azzeccato, anche se rimangono molte le risposte che si possono dare.

Non mi interessa commentare ciò che è stato giudicato in sede processuale, perché assai spesso la verità del processo non ha nulla a che vedere con la verità e la realtà dei fatti, e noi, in Italia, possiamo ben dirlo.

Dal mio punto di vista, antropologico-mentale, ci troviamo di fronte ad una persona, una madre, seriamente compromessa a livello psichico, con turbe di protagonismo che hanno radici lontane, e l’occasione di diventare famosi su Twitter è, appunto, solo una fra le tante possibilità per trovarsi alla ribalta.

Le possibilità sono due: a), o cerchiamo di individuare, e abbiamo tutti i mezzi di intelligence per farlo in questo caso, ciò che potrebbe nascondersi dietro ad espressioni ossessive che si ripetono in molti tweet; b), oppure troviamo il modo di interdire ad alcune persone l’utilizzo di questi mezzi.

La prima soluzione mi sembra quella più fattibile, perché la seconda richiederebbe, forse, una maggiore sorveglianza delle persone che in qualche modo e maniera sono conosciute come portatrici di deficit psichici, andando anche ad invadere la vita quotidiana di persone che attraversano, magari, solo un momento difficile, senza per questo trasformarsi in persone dalla patologia cronica.

Fatto è, comunque, che la mania-ossessione di essere alla ribalta in questi mezzi di comunicazione fra conosciuti e sconosciuti diventerà sempre più un problema antropologico, perché i nostri figli stanno crescendo a pane e social network. Le agenzie educative, come mi piace chiamarle, la famiglia e la scuola, dovranno assumersi anche l’onere di educare i giovani all’utilizzo consapevole, utile e funzionale di questi mezzi. Basti pensare cosa costituisce oggi il cyberbullismo, e le conseguenze devastanti che atteggiamenti aggressivi di questo tipo provocano nelle giovani e giovanissime vittime.

Certo, io vedo, quando mi capita di passare davanti a qualche scuola, frotte di bambini che escono muniti di  cellulare, che spesso sono in mano a bambini di otto o nove anni o poco più.

Che dire? Togliamo i cellulari ai nostri figli, oppure limitiamone l’uso, almeno a certe età?

Direi proprio di sì, senza equivoci, anche se siamo nell’era dei nativi digitali, perché vivere in questo periodo storico non significa utilizzare i mezzi tecnologici senza coscienza, oppure credere che, in quanto tali, siano persino innocui.

Il cervello umano non distingue mai quello che è nocivo da quello che è innocuo, ma distingue solo quello che è piacevole da quello che è spiacevole, se così non fosse la dicitura sulla sigarette relativa alla morte che il fumo procura servirebbe a qualcosa. Invece no, niente affatto. Anzi, sembra che stimoli a fumare ancora di più.

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