foto presa dalla reteÈ tutta questione di… tecnologia.

Questa notizia ci permette una serie di considerazioni importanti, specialmente per quello che concerne il ruolo della scienza all’interno della vita quotidiana di ogni individuo.

Abbiamo già affrontato il tema della depressione e in questo articolo ritorniamo sull’argomento alla luce, però, della ricerca appena pubblicata e rivolta a pazienti trattati con un antidepressivo dell’ultima generazione, il Citalopram.

Non è importante, in questa sede, spiegare il funzionamento della farmacodinamica della sostanza, quanto ragionare sostanzialmente sulla confusione che fra i non addetti ai lavori si crea quando si parla di depressione e intelligenza, oppure fra depressione ed affidabilità. In effetti, quando ci troviamo di fronte ad una persona che soffre di depressione, oltre a rassicurarci prontamente di non aver noi a che fare con tale situazione, nel nostro silenzio attraversiamo almeno due stati mentali antiteci, la compassione  e la rabbia, uniti ad un’idea di severi limiti cognitivi della persona che soffre.

Specialmente in riferimento a quest’ultimo atteggiamento, si applica un giudizio di valore non sulla malattia ma sulla persona che ne è il portatore.

Ebbene, questa ricerca, svolta per motivi terapeutici legati alla prognosi (ossia al tempo necessario affinché vi possa essere la remissione di una malattia), ci dimostra che i giudizi su se stessi, sul proprio benessere e sulla qualità della vita, espressi dai depressi agevolano fortemente la prescrizione del giusto farmaco da parte del medico.

La scelta di dedicare queste righe alla nuova scoperta è legata al fatto che la ricerca dimostra come in 25 domande sia possibile sapere in anticipo se un dato psicofarmaco sarà nelle condizioni di aiutare effettivamente il paziente depresso, o meno, nella risoluzione della propria patologia. In questo modo, si possono eliminare i periodi di tempo in cui il medico deve scoprire quale particolare tipo di antidepressivo sia  più adeguato ad un paziente, rispetto ad un altro.

Il modello matematico che è stato così elaborato dai ricercatori permette di porre queste domande anche attraverso uno smartphone, ossia con quella tecnologia che si suole definire friendly, vale a dire, amichevole, grazie alla quale l’assunzione di un farmaco assume un significato molto più umano, rispetto all’idea di trovare, a suon di tentativi e nel tempo, quello giusto.

Questo è un esempio di come le ricerche scientifiche, unite allo sviluppo della tecnologia, possono davvero migliorare la qualità della vita delle persone, anche in quei casi in cui si devono curare manifestazioni patologiche della mente. Di quella mente che rappresenta il lavoro di un organo importante come il cervello, per molti aspetti ancora un mistero, nel suo funzionare per mettere in relazione ogni individuo con se stesso e con il mondo.

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