GIOCOÈ tutta questione di… patologia.

Esistono maschi sposati non con femmine, ma con i videogiochi.

Quando uno dei membri dedica molto del suo tempo ai videogiochi, è evidente che c’è qualcosa che non va all’interno della coppia.

La responsabilità in questi casi non è da attribuire solo al maschio videodipendente: vivere in coppia significa vivere in due, ammesso che lo si voglia fare seriamente. La moglie di questi “adolescenti” è quantomeno complice se non menefreghista rispetto a una vera e propria patologia che crea, esattamente come quella alla droga, una pericolosa dipendenza.

Quando uno dei due componenti della coppia passa gran parte del tempo attaccato allo schermo, è evidente che il tempo dedicato al dialogo è minimo o comunque si tratta di una comunicazione superficiale.

E senza dialogo, siamo sempre più soli mentre ci sentiamo sempre “in compagnia” del videogioco di turno. Così, compulsione, necessità di sfuggire la realtà, isolamento, problemi di salute, depressione che affliggono il nostro maschio, si trasferiscono come d’incanto alla nostra femmina.

Tocca quindi a lei reagire in maniera forte e concreta. Si crea altrimenti un circolo vizioso dove i comportamenti patologici vengono confermati da una incapacità a reagire, in una accettazione passiva. Tutto questo è possibile, certo, se la femmina umana all’interno della coppia è sana. In caso contrario, non saprei cosa dire. Per poter opporsi a quest’onda di negatività patologica, c’è bisogno di coraggio e salute mentale di cui spesso le donne sono naturalmente provviste.

Forza donne, dunque. Non sposatevi con un videogioco!

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