Torino muore e noi anche!
Possiamo partire da questa notizia, per confermare che lo stesso andazzo denunciato dal collega è presente in una città italiana che amo particolarmente: Torino. E vi racconto brevemente il perché, mettendo in luce ciò che io considero essere ormai evidente in questa città.
Come è ovvio da parte mia, la questione dei tagli alla cultura, quasi 6 milioni di euro, è qualcosa di grave, visto che tutto quello che Torino aveva costruito, anche faticosamente, negli anni precedenti, ora viene annullato. E ce ne possiamo accorgere anche facilmente, perché fino a qualche tempo fa, camminare per le strade della prima capitale d’Italia significava incontrare persone, e tante, che chiedevano dove si trovasse quella o quell’altra mostra, o dove si svolgesse questo o quell’altro evento. Oggi, la città è tornata ad essere semideserta, conservando tuttavia i ben noti problemi legati all’immigrazione, ovviamente destinata ai soliti e conosciuti ghetti.
Però, la lungimirante e colta amministrazione Appendino, dichiara di attendere soldi dal Governo, come è peraltro vero, prima di trovare una soluzione al problema dell’indotto che la cultura crea in tutta la nostra nazione. Ma questo concetto, e da anni, è davvero difficile da comprendere per i nostro politici, anche o forse soprattutto, quando si tratta di amministratori politici improvvisati come questi dei 5 stelle.
Rimpiangere Fassino e Chiamparino è, per me, cosa grave, eppure paragonando il loro operato a quello che sta accadendo oggi non è possibile fare altrimenti.
Abbiamo ormai compreso e metabolizzato che alla sindaca di Torino piacciono i tagli, e non perché intenda rifarsi alla parsimoniosa ed oculata amministrazione del ministro delle finanze Quintino Sella, ma perché invece di impegnarsi a reclutare fondi creando nuovi progetti o nuove manifestazioni, trova più facile tagliare su quelle istituzioni, come i Servizi alla cultura, che sono sempre le più deboli e quindi più impunemente sacrificabili. Torino è una città che ha saputo, nel tempo, riconvertirsi dall’industria alla cultura, riconversione dettata anche da un passato significativo che vede la città protagonista e vincente, non solo nelle arti minori ma anche nell’architettura, nella riqualificazione urbanistica e nel paesaggio. Sarebbe quindi inappropriato condurre a morte sociale certa – e vi sono tutti i sintomi perché tale situazione non sia solo un annuncio – una città capace di trionfare a livello italiano e internazionale, grazie al suo patrimonio di conoscenze e alle sue doti di rigore e di impegno.
Un patrimonio che non dovrebbe essere limitato e sprecato, ma sviluppato e utilizzato perché Torino e quindi l’Italia è anche, soprattutto cultura – per non dire solo cultura.
Tutto il resto, forse, è noia.