Pelo e vizioÈ tutta questione di… indecenza.

È ufficiale: Lactalis ha deciso che il centro nevralgico della Parmalat non sarà più Collecchio ma la francese Laval.

Intuibili ed indubbie saranno le ricadute di questa decisione sull’economia. Non solo agricola, ma anche agroalimentare del nostro Paese, dal momento che da una produzione industriale legata alla raccolta locale (soprattutto italiana delle materie prime), si passerà ad una produzione connessa, ad una raccolta globalizzata, con conseguenze sia sul piano occupazionale che su quello dell’indotto. Certo, i francesi sono gli attuali proprietari dell’ex colosso italiano del latte, ma questa è una notizia che non solo, per un verso, ci rammarica (perché costringe a ricordarci la scellerata e tragica storia della Parmalat), ma, per altro verso, ci deve preoccupare. E molto.

L’onestà intellettuale impone di rammentare il carattere claudicante del Trattato di Cotonou del giugno 2000. Qualora non fossero sufficienti i pressoché quotidiani esempi dell’inerzia comunitaria, la realizzazione concreta di questo accordo (a metà tra il “vorrei, ma non posso” e le famose “nozze con i fichi secchi”) certifica il fatto che l’intera Europa è coinvolta in una insoddisfacente gestione dei rapporti economici con l’Africa.

Tuttavia, sebbene in molti si affannino a negare che ciò rappresenti una forma di neocolonialismo (ma, si sa, ogni Era ha avuto i suoi negazionisti…), tutti abbiamo ben presente l’effetto del Franco CFA sull’economia e sulla produzione nelle ex colonie francesi in Africa. Assai legato all’euro, il franco CFA permette alle multinazionali francesi di compiere enormi investimenti in quelle zone, al riparo da improvvise svalutazioni. Ma costringe i produttori locali a non poter esportare autonomamente le loro merci in Europa dove, per effetto del cambio fisso, avrebbero un costo non proponibile. Costringe così le ex colonie a depositare le proprie riserve di valuta straniera nella Banca Centrale Francese, ed impedisce la costituzione di una Banca Centrale Africana. In poche parole, impedisce l’emancipazione dell’Africa dalla Francia.

Certo, non si può nascondere la corresponsabilità dell’intero Occidente nella corsa all’accaparramento delle risorse energetiche africane, ma è la Francia a primeggiare nello sfruttamento dell’uranio in Niger, dell’oro nel Mali, del petrolio in Senegal, Uganda, Kenia, Mozambico. Bollorè e Total sono marchi che raccontano molto. Tutto ciò senza contare la stabile presenza militare francese in Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Repubblica Centrafricana. E vi ricordo (anzi, lo ricordo a tutti noi…) che parliamo della nazione patria dell’Illuminismo, degli Enciclopedisti, per non parlare di ciò che accadde il 14 luglio 1789. Questa nostra umanità crede di essere all’altezza di un etica globale, illuminata appunto, ma ho l’impressione che abbiamo solo sporadiche candele, qua e là, nel mondo.

Per tornare al nostro caso, anche se diversi sono i luoghi (così come diversi sono i protagonisti passivi delle rispettive vicende), la ratio che ha mosso la Francia a Collecchio non è poi così diversa da quella che la muove in Africa. Dominio e asservimento delle comunità, sia mediante il controllo delle loro materie prime, della loro produzione, della rete commerciale di distribuzione dei prodotti, che per mezzo di un utilizzo centralizzato dei proventi di quella distribuzione.

Lactalis non è un segnale di pericolo per l’Italia. Ma la soglia di attenzione da parte della nostra politica deve alzarsi, perché è proprio il caso di dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio.

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