Quando la bellezza è… Down
È tutta questione di… confidenza.
Ho già avuto occasione di trattare, proprio in questo blog, la questione Down ed in riferimento ad alcune frasi infelici dello scienziato Richard Dawkins.
La notizia di questo articolo mi permette di riprendere alcuni temi che avevo già trattato e che mi sembrano molto importanti, proprio alla luce di quanto sta accadendo ad una diciottenne australiana con la Trisomia 21.
Madeline Stuart, che, se la madre avesse seguito il consiglio del nostro caro scienziato sopracitato (osannato in tutto il mondo per la sua laicità), non avrebbe dovuto nemmeno nascere, ha deciso di diventare una modella di alta moda. Volere è potere: per farlo Madeline si è imposta un regime di vita decisamente ferreo seguendo una rigida dieta e iniziando a praticare sport. E’ così riuscita a conquistare la silhouette di cui ora va fiera.
Al di là del fatto che molte le persone cosiddette normali nemmeno se la sognano la determinazione di Madeline, diventa significativo costatare che, con il sostegno della madre, questa ragazza sta diventando educativamente importante per l’intera società occidentale.
Non ho mai seguito la moda ma riconosco che rappresenti un canale privilegiato per inviare messaggi positivi (talvolta anche negativi…) a coloro che la seguono e specialmente ai giovani.
La nostra mente si abitua a tutte le cose che incontra e quando questo incontro diventa frequente e si ripete nel tempo, si acquista confidenza con l’oggetto di tale esperienza. Per esempio, a forza di vedere modelle anoressiche, alte, bionde e dalla cosce sinuose ed affusolate, la mente umana, tanto maschile che femminile, sviluppa la certezza che per essere belli sia necessario sembrare come sono effettivamente le modelle che sono considerate dal mondo intero prototipi di bellezza. E così nasce una moda, ossia una abitudine relativa a un qualsiasi ambito di vita.
Ecco perché possiamo abituarci anche ai tratti somatici diversi che presenta un down, al suo modo di camminare sulla pedana durante una sfilata, alla sua capacità di comunicare sorridendo una felicità interiore senza remore, al suo modo di muovere le braccia. Quando ci saremo abituati a vedere Madeline in qualche pubblicità televisiva, in comportamenti decisamente normali, ossia tipici della vita di tutti, cominceremo ad eliminare dalla nostra mente l’idea che un Down sia “brutto”, “strano” e “diverso”. Saremo cioè riusciti a prendere confidenza con la sua presenza.
Madeline ha da me tutta l’ammirazione necessaria: se finalmente tutti noi ci mettessimo in testa che la diversità è un valore e non un disvalore, forse impareremo ad amare noi stessi e gli altri un poco di più, e renderemo il mondo un posto migliore.