foto stefano craccoÈ tutta questione di… rappresentanza imperfetta.

E’ estate: tempo di vacanze e nessuno, tanto meno io, ha voglia di parlare di politica né di politici. Ma vorrei condividere con voi la chiacchierata che ho ultimamente avuto con un caro amico imprenditore milanese, il Dott. Giuseppe Battaglia, sulla situazione politica italiana e specialmente sulla percezione che la gente comune ha di questa.

La rappresentanza politica permette che i cittadini attribuiscano il “mandato” a coloro che li possono rappresentare, appunto, di esprimere le loro idee in consessi a cui non avrebbero accesso direttamente, per una serie di motivi: il sistema politico di riferimento, la cultura di appartenenza, il poco tempo da dedicare alla politica e il diverso grado di conoscenza dei problemi da discutere.

Il diritto/dovere di consegnare un mandato a qualcuno che ci rappresenti (sic!) in Parlamento, dal quale si possa ottenere un governo adeguato ad elaborare iniziative di gestione per il bene e nell’interesse della comunità, non funziona pienamente (per usare un eufemismo) in generale in politica e in modo particolare nel nostro Paese. In effetti, tale sistema costringe i diversi partiti o movimenti ad una continua, accesissima ed estenuante campagna elettorale che provoca però danni incalcolabili d’immagine all’estero – e sul nostro territorio – mentre si finiscono per ignorare le istanze di coloro che non sono andati a votare (forse oggi questo accade un po’ meno grazie alla presenza dei Social e dei Blog, ma questo è un altro discorso su cui non voglio dilungarmi in questa sede).

Il risultato è una perenne asta verbale: si assiste, insomma, ad un continuo “vediamo chi la spara più grossa” per assicurarsi il voto. E il bene complessivo del Paese è bello che dimenticato!

Il motivo di questa kermesse di saltimbanchi del voto sta proprio nella legge elettorale (costituzionale?) che permette di decidere “chi-fa-cosa” sulla base dei votanti attivi, e non, come io reputo altrettanto giusto, degli aventi diritto al voto, cioè tutti, anche coloro che non si recano a votare.

Le persone che non si recano a votare tendenzialmente lo fanno – a sentire loro – perché l’offerta delle figure e dei programmi proposti non li convince e, nemmeno turandosi il naso, li reputano condivisibili.

A questa obiezione i non votanti si sentono rispondere che si tratta comunque di democrazia.

Ma non è per nulla democrazia!

Per dare una chance a tutti, anche a coloro che non votano per i loro più svariati motivi, bisognerebbe lasciare vuota l’equivalente poltrona in Parlamento, mantenendo immutate le altre regole.

In sostanza, se i votanti fossero il 60% dell’elettorato, il 40% dei seggi dovrebbe restare vuoto. Questo a mio avviso farebbe sì che venissero presentati persone e programmi più credibili, e diciamolo, più rispettabili. Tale sistema dovrebbe valere per le Regionali, le Comunali e quel che resterà delle Provincie.

Ma se il voto servisse davvero a cambiare le cose non ce lo farebbero fare, come ricorda una celebre frase ottocentesca.

 

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