Drogati a 12 anni… e lo schermo piatto
Un caro amico, durante una delle mie ultime chiacchierate in terra di Sicilia, Eugenio Brillo, sosteneva che l’attuale generazione in crescita, per intenderci quella dei 10-12 anni, può essere definita dello schermo piatto.
Leggete questo articolo e vi renderete conto della veridicità dell’argomento.
Abbandono, solitudine, superficialità, noia, sfiducia ed assenza di progettazione nella fatica del lavoro.
Questi sono i termini con i quali i colleghi esperti definiscono la situazione mentale dei nostri nipoti, perché oramai i figli sono da tempo inseriti, tranne qualche rara eccezione, in questo processo mentale. Anzi, se non vanno incontro a vaccinazioni cognitive famigliari e scolastiche sono destinati a presentarsi a tutti i prossimi reality show in programmazione sulle reti televisive.
Avere lo schermo piatto nella mente significa credere che con un gesto della mano, o del pollice soltanto, si possa passare da un argomento all’altro, da una notizia all’altra, soffermandosi sul titolo, senza indagare il contenuto, e tanto meno le fonti di quello che si sta leggendo. E questa azione manuale rispecchia, e al tempo stesso veicola, il funzionamento del ragionamento, grazie al quale la ricerca in verticale, ossia la ricerca delle cause e degli effetti che si rintracciano nel tempo che scorre, viene abbandonata. Avere in mano un libro, come accadeva una volta, che poteva essere sfogliato e che doveva essere letto tutto per comprendere in quale sua parte ci si poteva identificare o con quale argomento in esso trattato si poteva avere accordo, stimola un atteggiamento verticale che conduce alla riflessione sullo scorrere del tempo. Scegliere quale parte del libro, oppure della rivista, sarebbe stata la più importante per il proprio miglioramento significa assumersi la responsabilità e la fatica di leggere anche le parti che non si potranno condividere, oppure che non ci convinceranno.
Ora, con la tecnologia dello schermo piatto, raggiungo la parola che mi interessa conoscere, oppure il concetto che desidero indagare, e trovo i luoghi, ossia i siti e i riferimenti, all’interno dei quali quel termine è inserito. Ma non so nulla degli autori, né del contesto in cui quel termine prende forma e sostanza.
Cosa rimane da fare?
Credere che ogni cosa, come le parole, che sono cose, e lo insegna chiaramente Michel Foucault nel suo Archelogia del sapere, sia isolata, solitaria, decontestualizzata e non sia necessaria nessuna fatica per comprenderne appieno il significato. Ecco che si forma una mente giovanile dallo schermo piatto, proprio come la tecnologia che i nostri giovani usano in sostituzione del dialogo fra umani, oppure dei libri. Non parlo di enciclopedia cartacea, perché conoscono solo wikipedia.
Non resta che fuggire da questa realtà, tanto a portata di pollice e di mano, quanto lontana dal cuore della storia, del ricordo e della memoria. E in che modo, quando anche la famiglia e la scuola sono pressoché assenti rispetto a questo problema, fuggire? Drogandosi presto, subito, con soddisfazione, diventando asociali, tristi e incapaci quando l’effetto svanisce.
E la vita, noi lo sappiamo bene, è senza effetti speciali. La vita è speciale, da sola. La famiglie e la scuola lo raccontano ai nostri figli e nipoti troppo di rado.