Stallone da stupro
È tutta questione di… mistero.
Lo stupro è uno dei crimini più efferati e disgustosi. Colpisce la donna nella sua parte più intima e ancestrale, punendola per essere femmina. Annienta la sua volizione, perché la violazione del corpo annichilisce la possibilità di pensare. Inoltre, la forza fisica maschile, naturalmente più apprezzabile di quella femminile, fa temere per la propria vita ed ogni tentativo di ribellione risulta vano se non pericoloso.
In quegli eterni attimi, la donna è solo un oggetto, uno spazio fisico per lo sfogo dei genitali maschili. Per una donna, “dopo”, niente sarà più come “prima”. La sua mente si ferma al momento della costrizione, della paura e dell’angoscia. Il suo corpo ricorderà per sempre le sensazioni provate e lì si bloccherà.
Per “addomesticare” questo tipo di maschio a non vedere e considerare ogni femmina come preda per le sue soddisfazioni occorre una profonda, metodica operazione culturale. Condotta su vasta scala, educando alla convivenza ed alla pari dignità tra i due sessi.
Ma non basta. Occorre che le donne abusate denuncino. E serve che lo facciano nell’immediatezza dello stupro, perché minore è il lasso di tempo che intercorre tra la consumazione della violenza e la denunzia, maggiori sono le possibilità che lo stupratore venga arrestato e punito. Affinché questo processo, finalizzato ad interrompere la catena della violenza e ad esercitare il ruolo di deterrente, sfoci nelle necessarie conseguenze legali occorre che la denuncia venga sporta subito. E subito significa nell’immediatezza dello stupro. Non vuol dire dopo un mese. Men che meno dopo trenta anni.
Quale mordente possiede una denuncia che giunge dopo trenta anni? Nessuno. Nessuno, ripeto, perché le prove sono andate perdute, perché non potendo provare la consumazione del reato è difficilissimo agire contro il presunto stupratore che, più tempo trascorre, più rimane solo “presunto”.
E’ di questi giorni la notizia relativa all’apertura di un dossier, a carico di Sylvester Stallone, fondato sulla denunzia presentata nel 2017 da una donna che afferma di aver subito una aggressione sessuale da parte dell’attore, negli anni novanta del secolo scorso. Stallone ha ammesso di avere avuto una relazione sentimentale con questa donna, ma ha contestato la violenza. Non risulta che la denunziante abbia smentito quanto affermato da Stallone.
Non mi esprimo circa il merito delle accuse rivolte all’attore.
Ma sul metodo sì. Trenta anni sono un’intera vita, e racchiudono almeno quattro generazioni. In un lasso di tempo così lungo, il percorso di ognuno di noi muta, decine di volte. Spesso si ritorna ai punti di partenza, o da questi ci si allontana così tanto da non riconoscerci più, neppure guardandoci allo specchio. Si fanno scelte definitive o semidefinitive, giuste come opinabili. Ma il tempo e le esperienze che viviamo riescono a cambiarci nel modo di vedere le cose, di pensare , di agire. E agire dopo trenta anni significa inficiare la portata ed il senso degli eventi accaduti (ammesso e non concesso che siano accaduti) trenta anni prima.
Queste denunce postume non rendono un buon servizio ad alcuno. Non alla denunziante del momento, perché gettano ben più che un dubbio sulla credibilità dei fatti narrati. Non alle donne (neppure a quelle che agiscono immediatamente) che subiscono violenza da parte di maschi, infinitamente meno ricchi e socialmente blasonati di un attore.
Mi domando: “quand’è che le donne impareranno a giovare alle donne”?