Fake
È tutta questione di… aprire le orecchie e il cuore.
Durante l’estate che sta volgendo al termine (si pensa…), sono accaduti molti fatti in Italia. Diversi tra loro, ma tutti caratterizzati dal forte impatto emozionale e in grado di avvicinare le persone tra loro, almeno nei casi di un sano funzionamento mentale.
Molto è stato scritto e raccontato su questi fatti. Anzi, se ne è scritto e raccontato così tanto che l’onda emotiva si è moltiplicata in modo esponenziale, fino a raggiungere le vette ora dell’odio, ora della compassione profonda, ora della gratuità in ogni direzione. Nessuno, sia tra chi fa comunicazione che tra chi la riceve, è rimasto indenne da questo processo. Una dialettica emotiva e politica, ad uno stesso tempo.
Di fronte a questa circolazione di notizie e sentidos è inevitabile porsi un interrogativo. Ossia, chiedersi quale sia il miglior modo per comunicare ed attuare un una possibile integrazione tra la forza delle proprie personali convinzioni ed il rispetto delle opinioni avversarie (che spesso sono, in realtà, avverse).
Da antropologo della mente ritengo che la strada più proficua emotivamente ed utile speculativamente sia quella di una sempre maggiore presa di equidistanza dai contrari giudizi in campo. Si badi bene: non deve trattarsi di un comportamento meramente labiale, a valle di un ragionamento su “ciò che conviene dire”. Al contrario, dev’essere un atteggiamento mentale improntato all’ascolto attento e non pre-concetto dei diversi schieramenti in campo, finalizzato a formulare una propria opinione, secondo un’ottica di onestà generale, ancorché intellettuale.
“La verità sta sempre nel mezzo”: un detto popolare, in cui è decantata un’esperienza vecchia come il mondo. Dinanzi a due narrazioni di uno stesso fatto, nessuna delle due è così storicamente vera da escludere la veridicità, anche solo parziale, dell’altra. Ciò non significa che una delle due o entrambe mentano deliberatamente, ma che il cervello può focalizzarsi, sia nel momento intuitivo che in quello della concettualizzazione, su alcuni aspetti di un fatto e non sugli altri di un fatto diverso.
Sono certo che, adesso, qualcuno si starà domandando come sia possibile adottare questo contegno mentale, specialmente di fronte alle fake news, ovvero a quelle notizie completamente false, inventate e diffuse da un gruppo di soggetti contro un altro gruppo di individui, per il discredito di questi ultimi. Ebbene, anche in questo caso si può ricorrere alla riflessione autonoma, con equidistanza di valutazione.
Quello delle fake non è affatto un fenomeno nuovo, bensì soltanto l’evoluzione mediatica del cosiddetto “argumentum ad hominem”, vale a dire quell’espediente retorico con il quale, nell’ambito di un contraddittorio, un interlocutore non assume posizione in merito ad un argomento, ma attacca l’altro interlocutore. Il risultato è quello di spostare, deviare e dunque mistificare il focus della discussione (sul quale, magari, non si possiedono valide ragioni per controbattere), per riuscire ad influenzare il giudizio di chi ascolta.
Capiamo tutti che, ormai, la nostra specie è in grado di inventarsi poche cose dal nulla. Il coniglio dal cilindro è già uscito, e l’impressione è che siano finiti i conigli. Forse, tutto quello che può fare è ripescare dal passato, declinando la combinazione tra vecchio e nuovo nel tempo dei nuovi mezzi di comunicazione. È per questo che il metodo di valutazione di una fake non cambia.
La parola è qualcosa di molto, molto potente. Richiede coraggio quasi eterno nel suo utilizzo, perché la sua potenza è sproporzionata rispetto alla velocità con cui la si pronuncia.
È sufficiente rendersene conto, e a volte è meglio tacere.