È tutta questione di… saper faticare.

Ben 6 italiani su 10 non leggono un libro nel corso di un anno, e questo emerge da una serie di indagini di cui si legge in questo articolo.

La domanda spontanea è: perché gli italiani non leggono? Inoltre: è possibile rintracciare la causa di questo atteggiamento della mente?

Sì, penso che sia possibile, ed espongo la mia idea.

Dal punto di vista antropologico-mentale, tanto la scrittura quanto la lettura sono due conquiste fondamentali della nostra specie, sia per le ripercussioni sullo stile di vita individuale, la forza propulsiva verso il futuro che queste due pratiche alimentano, che per la dimensione sociale delle azioni che esse permettono.

Certo, per entrambe queste attività, ossia per poter leggere e scrivere è necessario un impegno, a volte inizialmente faticoso, in esercizi quotidiani, con il conseguente risultato di ritrovarsi soddisfatti dopo aver letto e scritto, per poter continuare a farlo nei giorni a venire con sempre minor fatica. Se questo processo non avviene, la lettura, più frequentemente della scrittura, viene abbandonata perché considerata, appunto, faticosa. E se la fatica è una prerogativa del funzionamento sano della mente, abbandonare l’idea di compiere uno sforzo per raggiungere una conoscenza in più rispetto a quello che si crede di sapere è sintomo di una solitudine ignorante nella quale, evidentemente, si sta bene.

Certo, in solitudine si ha sempre ragione, nessuno ci contraddice e nell’ignoranza tutte le cose che si fanno sono giuste e perfette, proprio perché non si è a conoscenza di elementi che possano stimolare frustranti paragoni e sentimenti di inadeguatezza.

Ma chi ci educa alla lettura?

La famiglia, i genitori, e solo dopo la scuola. E se non si trascorre del tempo con i propri figli a sfogliare libri, album per bambini, favole e racconti leggendari, i nostri figli si ritrovano da soli di fronte alla televisione e alla play station, dove si utilizzano sempre le stesse parole ed in numero limitato.

Ecco perché facciamo fatica ad imparare nuovi termini, a consultare un dizionario, mentre ci risulta molto più facile ascoltare passivamente quello che ci è propinato, anche quando non ci piace. E a forza di ascoltare, ci ritroviamo a non saper più parlare perché non sappiamo apprezzare in un bel libro come sono concordate le parole fra loro, i termini efficaci per esprimere un’emozione, e come sia più creativo utilizzare la dovizia di verbi che ci offre la nostra lingua invece dei soliti tre o quattro verbi usurati.

Eppure possiamo rimediare, a qualsiasi età, basta un metodo quotidiano e costante, con il quale possiamo decidere di leggere qualcosa che ci interessi davvero, che incarni nelle parole che trovo alcuni miei desideri e bisogni. Poco alla volta, qualche pagina, prima di andare a dormire e conciliare una notte serena nel ricordo delle emozioni che abbiamo provato.

Perché un libro è forse l’amico più intimo che possiamo scoprire, e l’occasione di ritrovare il vero legame con le nostre origini, perché ciò che è scritto diventa un’eredità importante solo quando incontra colui che legge e consiglia agli altri questa esperienza.

 

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