E se invece di ricostruire questo Paese, lo rifacessimo?
È tutta questione di… parole giuste.
Sentiamo in questo periodo, da parte di molti politici italiani, esponenti di destra e di sinistra, ma non solo dai politici, che è necessario ricostruire sia il Paese Italia, dotato di un sistema evidentemente malato, sia coloro che lo alimentano, ossia i cittadini che votano e quelli che non vanno a votare.
Cosa significa per la mente umana il termine ricostruire? Cosa indica?
Non certo cominciare una costruzione da capo utilizzando gli elementi che hanno portato al crollo dell’edificio che voglio ricostruire, altrimenti si andrebbe incontro a un lavoro che nasce per portare al suo stesso aborto. Allora, questo termine si riferisce al “costruire di nuovo“, ossia ricomporre in modo totalmente innovativo un edificio, oppure nel nostro caso, una struttura politica (per esempio, un partito…), avendo in comune quei valori di riferimento che uniscono le persone che partecipano alla ricostruzione – attorno a chiari ed inequivocabili obiettivi sociali e civili – rispetto ad altri.
Ma, se per ricostruire utilizzo gli stessi mattoni che sono crollati distruggendo l’edificio e specialmente annientando le sue funzioni, è ovvio che non si sta facendo nulla di veramente utile, ma sto solo posizionando gli stessi vecchi mattoni in posti diversi dell’edificio, facendo credere che questo sia innovazione architettonica.
Propongo allora di sostituire la parola ricostruzione con quella più chiara e responsabilizzante, per coloro che la utilizzeranno, di rifacimento, che evidenzia una demolizione dei vecchi mattoni e la loro sostituzione con mattoni nuovi, funzionali tanto alla facciata quanto agli interni…