Chi dovrebbe pensare alla nostra vita?
Nel leggere questa notizia mi sono sorte spontanee alcune considerazioni.
Non penso di vivere in un mondo in cui qualcuno sia il delegato ottimale in grado di provvedere alla qualità della vita del singolo individuo. Penso, invece, che vi siano persone, dotate di una certa sensibilità e intelligenza, consapevoli che molte persone non si trovino nelle condizioni esistenziali e mentali di pensare, serenamente, a loro stesse. Se così non fosse, non avremmo istituito, nel corso della storia occidentale della cultura, una serie di infinite istituzioni, governative e non governative, che assolvono proprio a questo compito.
Ecco perché considero quasi inutile, per non dire del tutto, la politica statale secondo cui aumentando il prezzo di qualche cosa di nocivo, in questo caso le sigarette, ci si illude di poter ottenere una diminuzione della richiesta.
Il fumo, come molte altre cose (il gioco, l’alcool, la droga d’abuso, gli psicofarmaci, il cibo, la sessualità), è parte di una situazione relazionale, gestita da menti che avvertono la necessità di alterare il proprio stato psicofisico utilizzando qualche espediente esterno, oppure interno, che alteri il proprio stato di coscienza. Questa è la realtà, e lo scrive un ex fumatore accanito. Certo, non faccio parte della categoria degli “ex” che si tengono alla larga dai fumatori. Non ho problemi a restare in un ambiente in cui si fuma, anche se, ovviamente, preferisco non farlo.
Ogni individuo ha bisogno di trovare nella propria vita un significato per cui valga la pena di agire, e continuare a credere che il futuro si presenterà con maggiore completezza, rispetto al presente. Il futuro è immaginato sempre come portatore di occasioni migliori, e ce ne convinciamo nel momento in cui realizziamo una relazione affettiva che ci tranquilizza e ci comunica sicurezza.
Bene, ogni volta che non riusciamo a realizzare questa relazione confortante, la nostra mente cerca in qualche modo, anche artificiale, di recuperare una qualche sicurezza, eliminando la situazione di sofferenza.
Compreso questo meccanismo mentale, non sarà forse il caso di rendersi conto di come potrebbe davvero fare la differenza lo stare meglio senza affidarci al “conforto” di una qualsiasi droga? Non sarebbe il caso di vivere con maggiore desiderio e fiducia tutte quelle situazioni relazionali, come le amicizie e i sani svaghi, in cui ognuno di noi può sperimentare quel senso di completezza di cui ha bisogno il nostro cuore?
E non dimentichiamo, come consiglio finale, che La mente ama.