Come pensare dopo Bruxelles?
E’ tutta questione di… futuro.
Come sanno coloro che seguono questo blog, commento raramente le notizie che riguardano avvenimenti in grado di creare divisioni, faziosità e aggressioni vicendevoli.
Questa volta però, di fronte alle dichiarazioni di qualche politico italiano, o a quelle di qualche personaggio europeo, sono costretto, per onestà intellettuale, ad esprimere la mia idea.
Mi riferisco agli ultimi fatti accaduti a Bruxelles. È vero, siamo in guerra! Giusto, ma con chi? Contro questi criminali, senza dubbio, eppure sembra anche di essere tutti contro tutti, nessuno escluso.
I veri nemici di questa epoca sono i limiti della organizzazione mentale che ci caratterizza. Mi riferisco al funzionamento della mente umana, quello comune a tutti, a tutti i popoli e culture, anche se ogni nazione, gruppo etnico o sociale, presenta le proprie caratteristiche e differenze rispetto agli altri. Ognuno di questi gruppi ritiene di essere diverso rispetto agli altri. In questa diversità, alcuni ritengono persino di essere migliori, e forse lo saranno anche. E la cosa non mi interessa affatto.
Invece, mi sta a cuore proporre una riflessione dalla quale dedurre una eventuale soluzione il più possibile universale, generale e adatta a tutti i popoli della terra. Non ho idee megalomani, ma cerco solo di ragionare in termini globocentrici, ponendo appunto l’intera Terra con i suoi abitanti al centro della mia riflessione.
Mi riferisco dunque a tutti i popoli della terra, e ritengo che dobbiamo estendere i nostri limiti mentali, poiché sono proprio quest’ultimi che ci fanno credere di possedere un’identità culturale da difendere e sostanzialmente diversa da quella altrui. È vero, esistono differenze, ma nella sostanza della nostra umanità, e dal punto di vista biologico e genetico, queste differenze sono irrisorie. Ciò che induce alcuni popoli a essere aggressivi nei confronti di altri è l’enfatizzazione sui propri contenuti culturali. Si esasperano così le differenze facendo credere che esista qualcosa di meglio rispetto a qualcosa di peggio, e che tali differenze si incarnino negli esseri umani. Anche se in noi l’aggressività è innata, non lo è la sua espressione che è invece il frutto di processi educativi diffusi. Proprio questi ultimi possono orientarci verso un’unica soluzione, ossia la convivenza universale. Ho sostenuto in altre sedi che l’amore s’impara, e continuerò a sostenerlo.
E come si impara l’amore, si impara anche l’odio, perché l’odio è un’altra forma di affezione, un legame attivo della stessa forza di un altro legame, passivo, che chiamiamo indifferenza. Odiare, oppure provare indifferenza, significa amare se stessi isolati dal resto del mondo, in preda alla megalomania individualistica che il male suscita in tutti noi.
Ma la vera identità umana non è quella culturale. Quella autentica è solo antropologico-universale. La nostra vera identità è totale, da difendere come intera umanità: donne, uomini e bambini. Dovremo amarci incondizionatamente, senza inventarci e rimarcare differenze con il pretesto delle religioni, dei valori e dei comportamenti.
Non possiamo combattere ulteriori guerre con ulteriori morti, per rimpinguare i mercanti delle armi e della guerra. Non possiamo combattere il male con altro male. Di questo passo non riusciremo a spezzare questa orrenda catena, e in questa lotta siamo tutti chiamati ad agire, a cominciare dalla famiglia, ma successivamente occorre operare nell’ ambito della nostra comunità cittadina, nel nostro quartiere e nelle azioni che portiamo nel contesto lavorativo.
Questa è la mia opinione.