Andare oltre
È tutta questione di… ipotesi.
Ora che è apparsa una ricerca in grado di dimostrare la verità, si potrà anche dire che lo avevo scritto nel 2011, quando uscì il mio La mente ama, per i tipi della Lucia Pugliese Editore, a Firenze.
Eppure, ho avuto molte critiche, specialmente da eminenti neuroscienziati, i quali hanno continuato ad affermare che l’intelligenza è espressione di una organizzata complessità, dunque rinvenibile quando i neuroni si organizzano in popolazioni di neuroni all’interno del cervello, mentre ogni singola cellula, da sola, non è detto sia intelligente.
In questa ricerca emerge chiaramente che ogni neurone possiede una propria identità, sebbene partecipi ad azioni comuni e simili, all’interno del cervello stesso e dunque di una specifica area cerebrale.
Nel momento in cui qualsiasi struttura biologica, anche piccolissima nelle sue dimensioni, come le cellule e gli elementi che la compongono, è espressione differenziata e differenziabile di alcuni geni, significa che il suo operare è la sintesi di qualche cosa di primigenio e singolare, che acquista la propria potenza espressiva quando si relaziona ad altre cellule nel gruppo, ossia all’interno di una precisa popolazione neuronale.
Seguendo l’enunciato fondamentale dell’Antropologia della mente (l’organizzazione cerebrale è l’esempio più completo di come dovrebbe essere l’organizzazione socio-culturale umana), la formazione dell’intelligenza inizia quando si vive in società. La propria identità individuale è in funzione di una sintesi culturale e sociale che avviene nella relazione con ciò che, pur essendo differenziato da sé stessi, è anche simile a sé stessi.
Ebbene, dal mio punto di vista, proprio la dimensione naturale che collega il singolo individuo, sia essa anche una cellula, al gruppo, dunque ad una popolazione di individui, dimostra quanto sia naturale anche la cultura, ossia ciò che comunemente definiamo condivisione e partecipazione. Ogni singolarità acquista la propria ragione di essere nella comunità, nella pluralità e sembra che queste ricerche mi diano ragione, quando solo pochi anni fa mi si diceva che avevo una visione troppo romantica del cervello, delle sue funzioni e del suo radicamento nella cultura per quanto riguarda la sua formazione e i suoi contenuti.