elefantiÈ tutta questione di… conoscenza.

Quando capita di leggere considerazioni di questo tipo, è inevitabile riflettere e quindi ringrazio di cuore la collega che ha favorito in me le seguenti e ulteriori considerazioni.

I miei studenti sanno quanto io stimi le femmine umane, non necessariamente donne. Allo stesso modo stimo i maschi umani, altrettanto non necessariamente uomini. Sostengo anche, assieme ad altri ricercatori, che l’essere femmina sia garanzia di un funzionamento mentale diverso rispetto a quello tipico dell’essere maschi. E questo avviene biologicamente, naturalmente.

Dunque, dal mio punto di vista, la questione dovrebbe essere spostata sul piano della cultura, ossia di quel sistema di credenze, abitudini, aspettative, relazioni, atteggiamenti e motivazioni che si organizzano all’interno di gruppi sociali al fine di affrontare le sfide che la realtà pone. Ecco che diventa molto probabile che il naturale che è in noi, demonizzato da un certo modo di fare Chiesa, religiosamente parlando, oppure di fare Scienza sociale, non trovi spazi espressivi che ci facciano davvero migliorare. Insomma, il mio punto di vista è biocentrico, e penso che se fossimo “più animali” potremmo avere un uso migliore persino della coscienza, mentre crediamo che questa abbia a che fare solo con contenuti che derivano dalla cultura. Il meglio della nostra umanità penso che risieda in quelle differenze che permettono a tutti noi lo sviluppo dei legami affettivi che nascono in quanto animali, all’interno di una solidarietà che supera la teoria darwinista della selezione per competizione e sopravvivenza-riproduzione del più adatto.

Il femminile ha sempre saputo dare importanza ai disadattamenti, e quando decide invece di emulare il peggio degli uomini, ecco che abbiamo la situazione che la collega descrive con irriverenza, ma con assoluta chiarezza ed evidenza.

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