Perché questo silenzio?
È tutta questione di… volontà.
Il 21 febbraio 2019 è stata una giornata storica per la nostro Repubblica.
Finalmente, la Camera dei Deputati ha dato il suo “via libera” ad un’istanza democratica di cui questo Governo ha la coraggiosissima paternità, ossia l’introduzione, nella nostra Carta Costituzionale, del referendum propositivo.
È noto che la forma di consultazione referendaria cui, attualmente, gli italiani aventi diritto di voto possono accedere è quella abrogativa. In altre parole, noi cittadini possiamo essere chiamati alle urne per abrogare una legge ma, ad oggi, non per proporre un testo normativo, avente forza di legge ordinaria dello Stato. Certo, quella del 21 febbraio era solo la primissima tappa e l’iter per la revisione dell’art. 71 della Costituzione in tema di iniziativa legislativa è ancora lungo. Ma ciò che conta per le nostre coscienze è, allo stato attuale, il segnale incontrovertibile che un’epoca sta cambiando, e si deve convenire che questo cambiamento è figlio della determinazione, della coesione e della forza programmatica di questo Governo.
Con il referendum propositivo possiamo tornare ad essere veri protagonisti del nostro destino, perché saranno gli italiani a dire quali strumenti legislativi sono necessari per la propria esistenza politica ed economica, per la sicurezza e per riaffermare il proprio primato nazionale nel consesso sovra-statuale. La democrazia diretta non sarà più una chimera, ma una realtà oggettiva, fattuale, con cui qualunque organo istituzionale, qualunque politico di turno dovrà (giustamente per alcuni e fatalmente per altri, ma, comunque, inevitabilmente) fare i conti, avendo la consapevolezza che se il Parlamento non si attiverà entro un tempo prestabilito, sarà il popolo a farlo.
Peraltro, la sostituzione del quorum per la validità con quello per l’approvazione del referendum muta radicalmente il paradigma sotto il profilo della capacità decisoria collettive. Non dover soggiacere alla scure dell’inutilità della consultazione referendaria, per mancato raggiungimento del numero legale necessario alla sua validità, sortirà il risultato della pienissima efficacia concettuale (ancor prima che istituzionale) del referendum propositivo.
La ragione è complessa ed intuitiva allo stesso tempo. Da un punto di vista puramente antropologico-mentale, sapere che ogni singolo voto potrebbe non essere fruttuoso se non si raggiunge la soglia minimale di validità, induce la convinzione mentale dell’inutilità della partecipazione. Viceversa, essere consapevoli che, a prescindere dal risultato, il proprio contributo elettorale è rilevante, ci spingerà ad una maggiore partecipazione, ad una approfondita riflessione sul significato, la portata e la finalità dell’atto. In poche parole, ci renderà cittadini maggiormente responsabili del nostro futuro e anche felici di esserne gli artefici. Studiare, ottimizzare e fornire al popolo gli strumenti necessari a far sì che egli stesso sia l’artefice della res publica. E questa è la direzione intrapresa dalla Camera.
Era, poi, così difficile da fare? Affatto. Bisognava averne il coraggio.