Fontana e la lobby gay
In questi ultimi giorni hanno suscitato molto clamore le esternazioni del ministro Fontana, il quale ha espresso la propria opinione sull’impossibilità di riconoscere la genitorialità di bambini concepiti all’estero da coppie dello stesso sesso, tramite pratiche vietate come la maternità surrogata o l’eterologa, non consentita a coppie omosessuali.
Non mi sorprende il circo mediatico dei sinistrati davanti alle parole del Ministro. Dico solo che sarebbe anche giunto il momento di smetterla con l’ipocrisia delle crociate emancipative, portate avanti strumentalizzando questioni che sono intangibili per loro stessa essenza.
Ed è un fatto intangibile che i figli debbano crescere, essere educati e psicologicamente formati nell’ambito di una coppia composta da un essere di sesso maschile ed un altro essere di sesso femminile. E lo è non perché siamo omofobi o contrari all’evoluzione dei costumi. La questione non è terreno che concerne l’essere pro o contro il mondo gay e lesbo, pro o contro i gay pride, pro o contro il progresso sociale.
Il punto è che, biologicamente, almeno per il momento, la vita di un essere di specie umana si forma in seguito all’incontro tra un ovulo ed uno spermatozoo. C’è un imprescindibile nesso di causalità diretta, peraltro di tipo esclusivo e non eventuale, tra la scintilla vitale di un feto e la relazione maschio-femmina. Se a qualcuno non piace questa storia biologica, emigri su un altro sistema solare e verifichi la possibilità di sinistrarsi altrove.
Ed è soltanto per questo motivo che il contesto in cui la nuova vita deve venire alla luce e crescere è quello formato da un uomo e una donna. Quando l’evoluzione biologica giungerà al punto che un bambino potrà essere naturalmente generato dall’incontro di due spermatozoi o due ovuli, allora significherà che la nostra specie avrà raggiunto un livello ulteriore. Solo allora, altrettanto ulteriormente, la formazione fisica e pedagogica di un bambino potrà avvenire all’interno di coppie formate da persone dello stesso sesso. Vi dirò di più, dal mio punto di vista. Se un giorno sarà biologicamente possibile che un essere umano venga concepito da una pianta, allora la crescita di quell’essere potrà essere affidata alle cura della pianta che l’ha messo al mondo.
Al momento le cose non stanno così. Punto. La natura impone ancora che siano un uomo ed una donna a produrre una nuova vita e, quindi, l’adozione di un piccolo dev’esser riservata a coppie composte da esseri di sesso diverso non già omologo.
Proprio perché ciò non ha alcunché a che vedere con le paventate istanze omofobe, faccio presente che una cosa è l’adozione in favore di coppie gay, ben altro è la stepchild adoption che in Italia ha già un validissimo predecessore giuridico nella c.d. “adozione in casi particolari”, prevista dalla Legge 183 del 4 maggio 1983, meglio nota come “Diritto del minore ad una famiglia”, e a cui la stepchild potrebbe benissimo essere conformata, sul piano delle garanzie procedurali.
Una cosa è l’adozione, da parte di coppie gay, di neonati frutto di maternità surrogata o eterologa, ben altra cosa è l’adozione, sempre da parte di coppie gay, di bambini orfani o minori senza famiglia nelle strutture di accoglienza meglio note come “orfanotrofi”: qualcosa a cui, in onestà intellettuale, mi sento favorevole.
A chi dice che non c’è alcuna differenza, dal punto di vista della copia gay, adottare un bambino nato da una maternità surrogata ed un bambino orfano o abbandonato, rispondo che se la differenza non c’è dal punto di vista degli adulti gay in cerca di genitorialità, al contrario ce n’è molta dall’angolo visuale di un bambino. Nel primo caso, il bambino è lo strumento con cui due adulti dello stesso sesso soddisfano il loro personale bisogno di fare i genitori. Nel secondo caso, il bambino è una vita venuta al mondo, magari anche inizialmente desiderata, ma a cui, poi, la sorte ha tolto un ambiente di affettività pienamente biologica. Al posto di una affettività istituzionale, al suo cuore ed al suo intelletto già provati dall’abbandono, giova sicuramente di più un’affettività umana, e poco importa se la coppia che gliela può dare è etero od omosessuale: basta che sia umana.
Proprio per questo occorrerebbe che il mondo omosessuale ed i suoi sostenitori fossero in grado di distinguere gli strumenti dell’emancipazione gay,la quale passa dal riconoscimento della propria esistenza e dei propri diritti strettamente individuali, senza strumentalizzare la vita di altri esseri umani, peraltro bambini.
E’ una rivoluzione che va fatta con gli strumenti della conoscenza e della razionalità, non certo sulla pelle dei neonati.